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Il Polyporus squamosus

testi: Mauro Ferrara, foto: Francesco Ferreri

Nel folto della foresta Simbruina - nella zona è termine più appropriato di bosco - il pensionato punta una ventina di metri più in basso: "Un fungone!", "No, è un tronco tagliato", "No, è un fungo","Ma no, funge; è troppo grosso, è un tronco tagliato"...dài e dàgli, poiché trattasi di proposizione decidibile, il pensionato intigna e s'ingroppa i venti metri di pendio che ci separano dalla visione. "Ictu oculi", come dicono i legulei, è un fungo.

Sta come mensola sul cavo del faggio. E non da solo: più in alto altri si sovrappongono, come tegole di un tetto. Cappello di colore giallastro, il più grande avrà 40 cm. di diametro, quasi circolare, con "margine revoluto, depresso presso il gambo", con squame più scure concentriche, tubuli corti biancastri o giallo crema. Magnifici esemplari di "polyporus squamosus" infestano il grande faggio. Secondo i sacri testi dovrebbe odorare di miele, o di farina rancida, o di cocomero. Gira, invece, sentore di pecorino e di "cammoratana": dev'essere roba degli zaini.

Sempre i sacri testi adombrano una commestibilità, almeno finché il fungo è lattonzolo. Che fare? Ci soccorre la storia. Il mio amico Costantino (il cui naso è uno degli strumenti più avanzati prodotti dalla selezione naturale per la captazione dei porcini), in un giorno di magra, s'era messo nel cesto "gialloni" e simili. Sotto i monumentali castagni di Collegiove l'incrocia la fungarola paesana, solida contadina di mezza età, guarda il cesto e gli dice: "Giuvenò, ma che nun ce ll'hai a casa le patate?". Lasciamo il grande faggio alle prese con i suoi ospiti, e via, alla ricerca di altre sorprese degli inestimabili Simbruini.