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Valico dell'Aceretta, dai Prati d'Angro

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E' una mite mattina di gennaio, la vettura scorre silenziosa ai piedi del Velino che, stranamente sgombro di nevi, offre una visione di tarda primavera: quest'anno il gelo tarda ad arrivare, e le montagne mostrano ancora i loro pascoli arsi e ingialliti, i faggi ormai spogli, dal colore rosso cupo.

Pascolo ai Prati d'Angro

Giunti ad Avezzano, la nebbia ci inghiotte in un abbraccio silenzioso ed inquietante, a stento seguiamo i segnali per Sora, poi la diramazione per Luco dei Marsi. Attraversiamo il paese ancora disabitato, il lungo corso avvolto nei vapori, difficile dire se oltre quella spessa cortina di nebbie splenda il sole o ci aspetti un'ennesima giornata di nuvole. Proseguiamo per le vie di Trasacco, qualche rara presenza umana appare nel pallore dell'aria gonfia di umidità; superate nel silenzio anche le ultime case, ci immettiamo dubbiosi nella Vallelonga.

Dopo pochi chilometri, giusto lo spazio necessario a salire di qualche decina di metri, la nebbia si dissolve repentina, lasciando il posto ad una visione di ineffabile dolcezza: il sole splende sui prati ancora verdi del fondovalle, il cielo è azzurro, vagamente velato da sottili striature di nuvole, lontano, a chiudere l'orizzonte, le alture del Parco Nazionale sono imbiancate di neve, i pendii ghiacciati rilucono al sole, accecando quasi la vista. Di fronte alla chiesa di Collelongo, una enorme fascina di legna attende di essere bruciata in un rito tradizionale.

Il Balzo dei Tre Confini

Proseguiamo la nostra strada e siamo a Villavallelonga, fra strette vie che proprio ora cominciano ad animarsi. Infine eccoci alla Madonna della Lanna, punto di accesso al territorio del Parco. Ancora poche centinaia di metri e ci fermiamo, nei pressi di un ponticello, poco prima dell'inizio dei Prati d'Angro.

A piedi, seguiamo la sterrata che costeggia il torrente Rosa, il greto è asciutto e questo ci suggerisce che abbia nevicato molto poco anche qui. Sulla destra uno stretto vallone si incunea fra scure faggete e risale verso le balze rocciose che chiudono a est il Coppo dell'Orso. Poi il paesaggio si amplia, eccoci ai prati, di un colore verde smeraldino, ancora carichi della rugiada notturna; sulla sinistra, una sterrata risale verso il profondo vallone Cervara ed i pendii del Monte Marcolano, ancora asciutti e assolati.

Fontanile dell'Aceretta

Continuiamo dritti fino ad un fontanile, da qui un sentiero risale sulla destra verso il Valico di Schiena d'Asino (che è il crinale che separa in due valloni questa ampia conca prativa), ma noi seguiamo la via principale in direzione del vallone più a sinistra, chiuso a nord - est dalle alture del Monte Schiena Cavallo e del Monte delle Vitelle. Sulla strada incontriamo un gruppetto di camminatori, ci chiedono dove siamo diretti, alla nostra risposta affermano all'unisono, con accento inconfondibile: "e quando c'arrivete a peji..."; non ci scoraggiamo, in fondo siamo qui per fare quattro passi e ammirare questi ambienti nuovi, dove riusciremo ad arrivare ci accontenteremo.

Ben presto siamo al rifugio dei Prati d'Angro, ai margini di un suggestivo bosco di faggi colonnari, con molti esemplari enormi, alcuni dei quali, caduti a terra, mostrano una età davvero rispettabile. Da un fontanile in pietra sgorga allegramente acqua limpida e fresca, rilucente dei timidi raggi solari che fanno capolino fra le chiome spoglie degli alberi, qui il sentiero si restringe e si fa più tortuoso, i segni rossi si diradano e proseguiamo ad intuito, sempre lungo il corso del torrente. Iniziamo a salire in una piccola forra, ingombra di grossi cespugli, si vedono le prime chiazze di neve, il terreno è duro e ghiacciato.

Panorama dal valico

Ogni radura nevosa racconta una piccola storia notturna: impronte di cinghiali, di lepri, di volpi, evocano la natura nascosta e silenziosa che abita queste foreste, ci sentiamo osservati dagli occhi invisibili degli animali del bosco.

Ad un tratto, un rumore cupo attira l'attenzione, dei sinistri latrati scendono giù dalle balze dello Schiena Cavallo, veloci si fanno eco dalle alture boscose: forse sono lupi, o forse solo cani randagi; la prima ipotesi ci affascina e sorpende, la seconda induce un pò di apprensione. Si comincia a salire più ripidamente, su pendii coperti di neve, di lontano giunge il gorgogliare di un ruscello: è ancora il torrente Rosa, che poco più in basso viene assorbito nelle viscere della terra. Percorriamo un'ampia ansa, giungendo alla sorgente del torrente.

Il Monte Marsicano

Verso destra un ampio pendio innevato e battutao dal sole invita all'esplorazione, ma potrebbe essere pericoloso, meglio proseguire sul sentiero tracciato. Ancora a svolte entriamo nel bosco, non si capisce bene dove sia il valico. La neve diviene più alta ma la traccia è evidente. Si sale a zig-zag, ad ogni curva una sosta, il sentiero è ripido ed il fiato è corto; a terra notiamo le inconfondibili orme di un cervo che sembra aver fatto la nostra stessa strada qualche ora prima. 

Potrebbe essere ancora qui, nascosto fra le macchie, ad osservarci curioso ed intimorito, questo è il suo territorio e noi lo stiamo invadendo impunemente, violandone il silenzio e la purezza originarie. L'affanno cresce, ci siamo alzati parecchio rispetto alla sorgente e speriamo di essere al passo in breve.

Il Rifugio di Iorio e il Balzo dei Tre Confini

Infatti, dopo poco la via si spiana, sulla sinistra si apre una radura di neve immacolata, ora si sente il fragore, senz'altro meno poetico, di una comitiva vociante. In breve raggiungiamo il Valico dell'Aceretta, l'incanto si rompe d'improvviso: sulla sinistra la mole del Monte delle Vitelle è gremita di rumorosi sciatori in tuta spaziale, ci osservano stupiti alla nostra uscita dal sentiero boscato, quasi fossimo figure fuori del tempo e dello spazio, sbucate fuori da un mondo primordiale ed assurdo. In effetti è così, abbiamo attraversato un ambiente deserto ed incontaminato, ricco di suggestioni e di mistero, avvolto in un silenzio ancestrale, per giungere nel frastuono delle piste da sci e rituffarci nelle consuetudini della vita che speravamo di avere lasciato alle spalle.Ma forse il fascino di questa passeggiata è proprio questo: l'esplorazione di un ambiente, affascinante e selvaggio, a poca distanza dalle opere dell'uomo eppure ancora intatto e segreto.

Ci allontaniamo un pò dalla confusione, seguendo una pista alberata sulla destra, improvvisi scorci si aprono verso il Monte Marsicano, verso la Camosciara e la Valle del Sangro, di fronte, seminascosto dalla vegetazione, il Rifugio di Iorio si innalza solitario su una cresta ghiacciata, vicino alla mole rocciosa del Balzo dei Tre Confini.

Si potrebbe proseguire verso il valico di Schiena d'Asino ed il Monte Serrone, ma servirebbe l'attrezzatura alpinistica, ed il tempo non è più molto oramai, sarà per la prossima volta. Veloci torniamo all'Aceretta e ci rituffiamo nel bosco, nel regno dei cervi e dei lupi, degli alberi e delle acque. La discesa nella neve è ben più veloce, ogni passo ne vale dieci in salita, presto siamo alla sorgente, stavolta ritroviamo i segnali rossi e ci accorgiamo che il vero sentiero passava sulla sinistra orografica del torrente; non è un problema, la via è senz'altro intuitiva, guidata com'è dalla natura e dalla conformazione del terreno. Eccoci al rifugio, un piccolo branco di cavalli si avvicina al fontanile per l'abbeverata; ci sediamo a mangiare sugli ampi tavoli di legno, contemplando le possenti distese boscose che chiudono lo sguardo verso nord-est: un senso di incredibile calma e serenità ci pervade, è quella felicità profonda e ineffabile che solo l'unione intima con la natura può infondere nell'animo. Anche oggi non abbiamo sprecato il nostro tempo.