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M. Focalone (2676 m) - M. Acquaviva (2737 m) dalla Majelletta

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Percorriamo l’ampio spallone erboso della Majelletta alle prime luci del mattino, nell’aria ancora fresca e immobile del paesaggio appena uscito dalla notte, ed ecco, da un ampia curva, apparire la distesa di rosa lucente del mare, laggiù verso la costa di Lanciano: un tenue bagliore fra le ombre lunghe dell’oscurità che va scomparendo. Superiamo il rifugio Pomilio, sommerso dalle antenne, e ci fermiamo al piazzale nei pressi del Blockhaus. Davanti a noi prende forma la mole possente ed indistinta – osservando da lontano – della montagna madre: i boschi del Martellese, le Murelle, l’Acquaviva, il torrione massiccio del Focalone, il Pesco Falcone che sovrasta il profondo vallone dell’Orfento.

In vista del Focalone (a destra il Pescofalcone)

Ci avviamo sul sentiero, che si immerge subito nei mughi, aggirando la mole modesta del Blockhaus (è il nome di un tipo di fortificazione militare di origine austriaca, qui utilizzata dai Borboni come avamposto per la lotta al brigantaggio): il sentiero non è molto piacevole, per il fondo piuttosto sconnesso e per i rami di pino che, come coriacei scopettoni, lisciano di tanto in tanto braccia e gambe. In compenso, il panorama pian piano si scopre verso i sottostanti valloni: il vallone delle Tre Grotte ed il Vallone di Selvaromana, che scendono incassati verso Pennapiedimonte.

Raggiunta una prima sella, scopriamo anche ciò che c’è dall’altra parte: il Vallone dell’Orfento è ancora più selvaggio e misterioso, in alto è dominato da i ghiaioni infiniti che colano dal M. Rotondo e dalla Cima Pomilio, in basso ripidissimi e impenetrabili boschi calano verso il fondo, nascondendo ogni cosa alla vista, compreso il torrente che, tuttavia, si fa sentire per la brezza frizzante che risale dal versante. Fin qui, ed oltre, il sentiero è un comodo cengione un po’ soffocato dai mughi, ma abbastanza panoramico.

Iscrizioni sulla Tavola dei Briganti

Superata anche la mole del M. Cavallo, una breve deviazione nel folto della vegetazione ci porta alla famosa Tavola dei Briganti, zona di rocce coperte di iscrizioni lasciate da briganti, pastori e viandanti che attraversavano il massiccio nei secoli passati: per la maggior parte sono testimonianze che risalgono alla seconda metà dell’ottocento ma c’è anche qualche screanzato che vi ha lasciato tracce ben più recenti, ignorando del tutto la valenza storica del sito. Tornati sul sentiero e superato un vivace fontanino, cominciamo la risalita verso le pendici del Focalone, che già ci osserva da tempo dall’alto delle sue rocce severe. Intanto, la vista spazia sempre più verso le colossali pareti della Cima delle Murelle, che sembrano affondare sempre più nel profondo vallone tagliato ai loro piedi; sono successioni interminabili di rocce, interrotte da pendii erbosi, cenge, grottoni, che risalgono fino alla vetta aguzza e slanciata.

Lo stupore aumenta quando, osservano con più attenzione, si nota come i contorti abissi ai nostri piedi siano mirabilmente percorsi da una fitta trama di sentieri che sembrano inoltrarsi nei luoghi più improbabili; così scorgiamo i sentieri, alto e basso, delle Gobbe di Selvaromana, il secondo dei quali sembra andare a sfiorare l’orlo del baratro che sprofonda nel vallone, e poi i sentieri che risalgono verso le Murelle, sfidando ghiaioni, cenge esposte e pendii sfiancanti.

Gobbe e Vallone di Selvaromana

E qui si capisce quale sia la peculiarità straordinaria di questa montagna, che la distingue da qualsiasi altra catena e la rende così affascinante: l’incredibile varietà di ambienti sempre diversi, anche nello spazio di pochi chilometri basta girare un costone e ci si ritrova in un ambiente completamente nuovo; è tutto un susseguirsi di vallette, pratoni, creste, pendici, fossi e valloni incassati che richiamano la curiosità del viaggiatore. A ciò si aggiunge lo stato ancora selvaggio in cui si trovano gli ambienti della montagna, scarsamente compromessi (grazie anche alle numerose riserve che ne difendono il territorio) e per di più spesso remoti e difficilmente accessibili. Superati gli ultimi mughi, ci aspetta un aereo crestone ghiaioso, proprio di fronte le pareti del Focalone, rivolte verso l’Orfento e il Pesco Falcone.

Raggiungiamo un bivio, dove un’ottimistica segnalazione indica la via per il M. Amaro, la seguiamo tralasciando il sentiero di sinistra (per il bivacco Fusco, da cui ritorneremo), salendo sempre più ripidamente. Praticamente qui si concentra quasi tutto il dislivello dell’escursione: si sale a zig zag, prima fra faticose roccette, poi per un magnifico pendio erboso ancora verde e soffice; in alto solo il cielo terso incornicia la vista. Il sentiero è quasi una scalinata e ci offre ulteriori vedute verso le Murelle, in breve raggiungiamo l’inizio delle ampie creste sommitali: da qui in poi il paesaggio muta radicalmente, proprio come ci immaginavamo, dal un mondo vegetale, di erbe e mughi, siamo proiettati in un ambiente minerale, insolito, lunare: una sconfinata pietraia che si estende a perdita d’occhio verso l’Acquaviva, verso i Tre Portoni e l’Amaro.

Verso la vetta dell'Amaro

Un mare di scaglie di pietra bianca, chiarissima, tritata e tagliata da millenni di esposizione al ghiaccio, al vento ed alla pioggia. Tra l’altro, il riflesso abbacinante del sole sulle pietre crea un’insolito effetto neve, poco piacevole per gli occhi. In questo deserto sconfinato eccoci apparire due fringuelli, perfettamente a loro agio si avvicinano a pochi metri, per nulla impauriti, ostentando il loro piacevole, ma aimè incomprensibile, canto. Finalmente raggiungiamo la vetta del Focalone, che qui si perde del tutto nell’immensità delle distese che ci circondano; sotto di noi, la vista confortante del verde anfiteatro delle Murelle concede un po’ di riposo agli occhi accecati.

Ormai il sole è alto, nonostante non sia molto tardi, e su queste pietre sembra aumentare il senso di arsura, di disidratazione; guardando radente il suolo si osservano le vibrazioni dell’aria calda che risale dai sassi, lo spettacolo è infernale e grandioso al tempo stesso. Possiamo scorgere la vetta dell’Amaro, isolata verso la conca Peligna, con il palloncino rosso del bivacco Pelino. Proseguiamo, come una carovana nel deserto, seguendo la sfilza di ometti che segnano il cammino lungo le creste (indispensabili in caso di nebbia), a tratti la distesa omogenea di pietrame è interrotta da morbidi, verdissimi cuscini di silene acaulis: ancora una volta scorgiamo la vita anche laddove non penseremmo più di trovarla.

Cima delle Murelle

Si prosegue su fondo più difficile, alle scaglie si sono sostituiti grossi pietroni, spesso traballanti (attenzione !), e dobbiamo rallentare la marcia. Diamo un’occhiata alla cresta frastagliata che si stacca da qui e raggiunge la Cima delle Murelle, non riusciamo a capire se sia facilmente percorribile o vi siano tratti esposti. Raggiungiamo una sella dove il calore ristagna e rende impossibile la sosta, non resta che avviarci all’ultima risalita verso la vetta. In poco tempo raggiungiamo la croce di vetta, nei pressi di un riparo fatto di pietre, evidentemente utile in giornate di forte vento, non certo oggi che l’aria si muove appena.

Alle spalle ancora la visione spettrale, da diversa angolazione, del sistema di creste che si snoda dall’Acquaviva – che si può ritenere il cardine orografico del massiccio – verso le altre dorsali: pietre e solo pietre per chilometri e chilometri, in ogni direzione, verso la Cima dell’Altare, verso la Grotta Canosa, il Piano Amaro e la Femmina Morta. Prima di mangiare, proseguiamo un po’ sulla cresta, in direzione del mare, e man mano si apre la vista verso la Cima del Forcone e la montagna d’Ugni; a destra, l’Acquaviva scende con pendii sempre più ripidi che finiscono su caratteristici salti di roccia: oltre è il vallone delle Mandrelle, il M. S. Angelo ed il Piano La Casa. Ma la visione più impressionante è senz’altro quella del Vallone di Fara, in tutta la sua estensione, dai boschi iniziali fino alla pietrosa Val Cannella, con il rifugio Manzini, ed all’ultima sella prima della vetta dell’Amaro; talmente vasto da non essere compreso tutto alla vista, è necessario seguire il dipanarsi delle creste volgendo lo sguardo fino alla vetta, comprendendo il fascino insolito che quell’itinerario esercita su molti camminatori.

In vetta all'Acquaviva

Purtroppo la caligine impedisce un’ampia vista della costa ma subito siamo ricompensati nell’accorgerci che tutto intorno, fra una breccia e l’altra, spuntano timidi mazzetti di stelle alpine: fiore rustico, coriaceo, essenziale, che ben si addice a questo ambiente estremo. Ci accingiamo al pranzo, per nulla rinfrancati dalla totale assenza di vento e dalla temperatura “da spiaggia” a quasi tremila metri di quota. Peccato per il caldo, almeno possiamo godere dell’impareggiabile sensazione che sanno offrire le vette più alte dell’Appennino, quell’aria di libertà suggerita dal perdersi dello sguardo, mai ostacolato da altre vette intorno, verso le vallate caliginose, verso i rilievi lontani ornati da turbe di candidi vapori, verso paesaggi che sfumano nell’indefinito, nell’immaginazione.

In discesa, ripercorriamo il cammino fino al Focalone, fermandoci di tanto in tanto a risistemare qualche ometto un po’ malandato; poi, anziché scendere sul percorso dell’andata, caliamo a destra verso il bivacco Fusco, già visibile dall’alto. In breve arriviamo al riparo, per la verità molto spartano ma utile a anche chi voglia solo apprezzare una meravigliosa alba sul mare dall’alto della montagna. La deviazione ci regala vedute più dettagliate sulla Cima delle Murelle e sul superbo anfiteatro roccioso che cinge in alto l’omonimo vallone. Di qui scendiamo attraversando un’ampia fascia di erba e rocce levigate, fino a ricongiungerci con il sentiero dell’andata, poco prima del fontanino. Alla fine della giornata, possiamo dire di aver compiuto un viaggio davvero istruttivo, che ci ha permesso di capire meglio la complicata orografia della Majella e ci ha regalato visioni fantastiche di ambienti severi e repulsivi, solitari valloni, boschi e altopiani sconfinati; forse non è il percorso più selvaggio e solitario (aspetti che vanno cercati più nei profondi, maestosi valloni, che sulle frequentatissime cime) ma nel complesso è tra i più affascinanti dell’Appennino.