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San Liberatore a Majella, Gole dell'Alento e Torre di Pollegro, da Serramonacesca

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Superate le ultime case di Serramonacesca già appare, dietro ogni curva, l'imponente mole della badia di San Liberatore, circondata da boschi silenziosi, mentre sul fianco destro occhieggiano i ruderi del fortilizio di Castel Menardo, alti su una rupe.

San Liberatore: il campanile

Parcheggiamo nei pressi dell'abbazia: una visita a quello che è considerato un caposaldo dell'architettura medievale in Abruzzo è assolutamente doverosa. Fu costruita intorno all'anno 1080 ad opera dei monaci benedettini di Montecassino, sul luogo di una precedente chiesa, distrutta dal terremoto del 990; San Liberatore: il campanile

la badia raggiunse il massimo del suo splendore dopo la metà del 1200, poi subì sorti alterne sino ad arriavare al 1806, anno della la soppressione degli ordini monastici da parte di Napoleone; depredata di ogni bene, opere d'arte, arredi e libri sacri, ospitò poi il cimitero di Serramonacesca fino alla fine degli anni '60.

San Liberatore: la facciata

Oggi, dopo numerosi restauri l'edificio è stato riportato alla sua antica magnificenza: la facciata è di tipo lombardo, l'elegante campanile alla sua destra era originariamente costituito da 5 piani, oggi ne rimangono solo 3, ornati da una successione di finestre monofore, bifore e trifore.

L'interno della badia è a tre navate, semplice ed austero, sulle pareti sono ancora visibili resti di affreschi risalenti al XVI secolo: di massima importanza e poi il pavimento a mosaico della navata centrale, risalente al 1275, unico nel suo genere in Abruzzo.

San Liberatore: l'abside

Terminata la visita della basilica, un pannello esplicativo sul lato sinistro dell'edificio segnala l'accesso al sentiero che scende sulle rive del fiume Alento: pochi passi e ci troviamo in un ambiente completamente diverso; da una prima piazzola è possibile affacciarsi subito su una tumultuosa gola scavata nella roccia, nella quale le acque del torrente vengono inghiottite repentinamente con un salto di una decina di metri.

Seguiamo il sentiero fino a costeggiare le rive dell'Alento, la vegetazione è assolutamente rigogliosa, il sole è già scomparso dietro la pesante coltre di fogliame che sovrasta ogni cosa e diffonde in ogni angolo i suoi riflessi verdastri. Avanziamo su terreno di terra compatta, ricoperta da un fine strato sabbioso, tutto intorno sono piante e arbusti tipici degli ambienti palustri: felci, carici, salici, grovigli d'edera, poi i più comuni carpini, frassini e aceri.

Il fiume nei pressi delle tombe rupestri

Ad un primo slargo costeggiamo un'ampia insenatura del fiume, nei pressi di una gola rocciosa: piccoli esemplari di trota stazionano immobili nella corrente, in attesa di cibo.

Più in alto si entra nella parte più spettacolare del canyon, nei pressi di un'ampia radura il fiume ha scavato sinuose curve nella tenera roccia tufacea, dando vita a singolari forme di erosione; tutto intorno è verde: la sommità impenetrabile degli alberi che ci sovrastano, le viscide rocce coperte di floridi muschi, le profonde marmitte in cui gorgheggia l'acqua cristallina del fiume.

Cascatelle e forme di erosione

Sulla sinistra, scavate nella roccia, sono alcune tombe ad arcosolio[1], si tratta di tre piccole nicchie seguite da una piccola cappella; il complesso risale probabilmente ai secoli VIII-IX, una piccola cengia, un pò esposta, permette di osservare da vicino le tombe. Il sentiero principale, invece, prosegue superando un comodo ponticello in legno e spostandosi brevemente sulla sponda opposta del fiume, si prosegue poi con alcuni guadi, risalendo a sinistra nei pressi di una duplice cascata da cui il torrente precipita in una profonda marmitta.

Avanziamo ancora fra pozze e cascatelle, è incredibile osservare quale miriade di organismi abiti ogni anfratto del fiume: accostandosi ad una polla osserviamo piccole larve di pesce, quasi invisibili, che si muovono fra la ghiaia finissima che ricopre il greto del torrente; poi, accanto ad un mucchietto i foglie secche ecco che una macchietta nera si anima improvvisamente rivelando il corpo di un grasso girino. Nel frattempo sciami di idrometre perlustrano il pelo dell'acqua in cerca di prede, tenendosi lontane dal centro del torrente dove, nelle acque più profonde, sostano in agguato, quasi invisibili, le trote.

Ancora cascate ...

Ma anche fuori dall'acqua lo spettacolo non è meno interessante: un gran numero di colorate farfalle si muove in ogni direzione, senza riposo, volando di fiore in fior, particolarmente attratte dai minuscoli fiori violetti di certe piante che ornano le rive del torrente. Più in alto il sentiero si allontana dal torrente, pian piano l'eco gorgogliante delle acque si affievolisce; superiamo la confluenza con alcuni rami, ora asciutti, quindi raggiungiamo una carrareccia.

Proseguiamo ancora in salita, ora l'ambiente è più aperto e finalmente riappare il cielo sopra di noi. Il fiume adesso scorre molto più in basso, solo a tratti ne sentiamo il rumore o ne scorgiamo qualche salto spumeggiante.

Ruderi della Torre di Pollegro

Dopo pochi minuti, sulla sinistra, un paletto giallo indica l'inizio del sentierino che sale verso i ruderi del castello di Pollegro. Proprio alle nostre spalle vediamo i resti della torre, alti sopra un contrafforte roccioso, non ci vorranno più di venti minuti per salire lassù.

Il sentiero è abbastanza stretto, si trasoforma a tratti in una ripida cengia che taglia trasversalmente il bosco, poi risale fino ad un bivio. E' impressionante notare la differenza di temperatura fra il fondo delle gole, rinfrescato dallo scorrere delle acque, e questa boscaglia in cui l'ombra delle frasche mitiga a malapena le temperature torride di questa estate.

Particolare della Torre

Prendiamo a sinistra, per risalire velocemente sino ad una ripida scarpata terrosa: un solido cordone aiuta nella risalita e finalmente guadagniamo la sommità della rupe: il sole qui picchia veramente forte, giriamo intorno ai ruderi della torre di Pollegro, di cui rimane solo una metà della sezione.

Probabilmente il manufatto, serviva anche per l'avvistamento verso il mare: infatti davanti a noi si apre la vasta pianura Teatina, terrea e asciugata dal sole, come una linea bruna corre ad est fino a sfumare in una foschia indefinita, laddove dovrebbe essere l'Adriatico.

Verso l'interno la rupe precipita con una compatta parete verticale, sporgendosi con attenzione verso le gole si scorge dall'alto il complesso abbaziale, più in alto, invece, il vallone risale verso i pratoni della Majelletta. La temperatura è davvero insopportabile, non resta che tornare alle gole per godere ancora del fresco ambiente ripariale.

Al ritorno però, ci attende una sorpresa un pò spiacevole: è l'ora di pranzo e nelle zone più caratteristiche delle gole, dotate di tavoli in legno con panchine, si sono radunate chiassose comitive di "braciolanti" che trasformano in breve l'ambiente magico e silenzioso del fiume in un vero e proprio bazaar; il culmine del disordine e della confusione lo incontriamo proprio all'altezza delle tombe rupestri !!!

Peccato che il parco abbia deciso di realizzare questi punti sosta in un ambiente così peculiare, senza tenere conto dei fenomeni a cui avrebbe dato luogo: per i picnic e le braciolate ci sono tantissimi prati disponibili, perché sacrificare un luogo ancora integro e di alto valore naturalistico, storico e artistico ?

NOTE:

[1] nicchia ad arco scavata nel tufo e usata come sepolcro