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Monte Amaro (2793 m), dal Vallone di Taranta Peligna

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Incastrato senza possibilità di movimento nel bidone tremolante dell'ovovia, dal colore rosso ruggine scuro, mi godo la vista sulle tranquille colline che digradano dal piede della Majella verso il mare, inondate dai raggi ancora incerti del primo sole e già sormontate da vistosi accumuli di vapore biancastro; verso la costa i bizarri torrioni dei Monti Pizi sembrano formare una gigantesca corona verde posata sulle colline. Dopo un pò, con manovra da acrobata, riesco a togliermi dalle spalle il pesante zaino, senza con questo spingere fuori dal trabiccolo l'amico Mauro, che divide con me la salita.

Guglie rocciose nella parte bassa del vallone

Non appena mi volto a guardare verso l'alto la situazione appare subito poco invitante: una grossa massa nuvolosa sta invadendo il vallone, celando sempre più le pareti rossastre che ne serrano i fianchi; il cielo è grigio e in qualche modo l'insieme ricorda i paesaggi dolomitici avvolti nei vapori del tardo pomeriggio. Urlando chiamo l'altro Mauro --- che ci segue su un altro bidone e sarà la nostra guida quest'oggi --- gli chiedo quanto dura la salita e cosa ne pensa del tempo: dai suoi ricordi il tragitto in ovovia fino alla base della Grotta del Cavallone è di circa quaranta minuti, e per quanto riguarda il tempo è sempre possibile deviare sulla Cima dell'Altare o ancora sul sentiero per la Fonte Tarì. L'idea di mancare ancora una volta (per noi sarebbe la terza in due anni) la vetta dell'Amaro non ci piace per niente; per fortuna, dopo venti minuti, arriviamo alla stazione superiore, pronti ad intraprendere il cammino: evidentemente l'impianto deve essersi velocizzato.

Dalla stazione prendiamo subito a sinistra, lungo un traverso sassoso che si dirige verso un rado bosco di faggio e maggiociondolo; vi saliamo a svolte, incrociando i resti di una demenziale cremagliera che risale il vallone fino alla sua metà. Alle spalle, al centro di una enorme parete grigio-rossastra, si apre la celebre Grotta del Cavallone, il poderoso e oscuro antro non è ancora sfiorato dai raggi del sole e appare cupo e minaccioso.

Esemplare di Parnassius apollo

L'aria è frizzantina e la vista sui ripidi pratoni che risalgono alla Fonte Tarì ed all'orlo del vallone di Macchialunga è molto interessante;il sentiero prosegue fra radure e tratti boscati attraversando una ampia brughiera di mirtillo rosso. Presto il sentiero spiana in una zona piuttosto degradata dai rottami della cremagliera e delle barriere anti-valanga abbandonate quà e là: per fortuna sulla destra è una magnifica parete verticale di roccia liscia e compatta, solcata nel mezzo da una profonda fessura scura, senz'altro un invito per gli arrampicatori più avventurosi.

Intanto sembra che le nuvole stiano scendendo verso il fondo della valle, e presto ci ritroviamo più o meno all'interno della massa vaporosa: la speranza è di uscirne più in alto, lasciandocela alle spalle. Finalmente raggiungiamo una zona veramente deturpata dai lavori per la creazione di alcuni serbatoi idrici, ma sarà l'ultima bruttura della giornata. In questo punto il vallone di Taranta si restringe ed è occupato nel mezzo da un risalto roccioso di qualche decina di metri: da qui il sentiero CAI devierebbe sulla sinistra per raggiungere l'orlo del vallone e proseguire in una zona brulla e di scarso interesse: noi invece prendiamo sulla destra del castelletto di rocce che ci sbarra la strada fino a raggiungere una ripida fessura intasata di brecce che lo separa dalle pareti sulla destra.

La porzione alta del Vallone

Qui un sentierino si inerpica sulla sinistra a risalire il nodo di roccia che stringe la valle: i passaggi sono un pò esposti, da superare utilizzando con attenzione mani e piedi, ma non si può parlare di vera e propria arrampicata. Riusciamo su un verde pratone in leggero pendio (che verso il basso finisce in un baratro, attenzione !) ed entriamo così nella parte superiore del vallone. Il terreno alterna zone pietrose a isolette di erba e cespugli, ornati quà e là da qualche cespo sfiorito di genziana.

Ora la pendenza si è addolcita e la camminata diviene davvero piacevole: le nubi stanno sfilando alle nostre spalle e pian piano svelano il paesaggio che ci attende più in alto; al centro si mostra il torrione roccioso dell'Altare dello Stincone, sovrastante un cono di brecce e sfasciumi. Sui fianchi le pareti sono più modeste, ma continuano a mostrare quell'aspetto friabile, modellate in piccole rientranze e pinnacoli dal vento e dal gelo: nel complesso lo scenario potrebbe ricordare --- in piccolo --- le “mesas” del Colorado, ci chiediamo quando vedremo apparire sopra di noi frotte di Apache !

Veduta sulla Grotta Canosa (a sn.) e sul M.Amaro

Il luogo merita una sosta, rinfrancata da un'ottima crostata fatta in casa. Rimango un pò indietro per scattare alcune foto e, voltandomi verso il fondo, la notte ! Nuvole nere hanno inghiottito tutto ciò che era alle nostre spalle, creando un sipario di vapore denso e impenetrabile. Per fortuna, verso il Piano Amaro, il cielo è ancora azzurro. Saliamo lasciando sulla sinistra le rocce dello Stincone, senza via obbligata, affrontando ripidi ghiaioni di scaglie grigie e acuminate.

Più volte capita che, all'improvviso, da dietro una roccia si levino un paio di corpulenti volatili, il colore quasi uguale a quello della terra che li circonda, e in un rapido frullare d'ali scompaiano brevemente alla nostra vista: si tratta probabilmente di pernici. Seguendo il solco di un fosso risaliamo fino all'orlo del vallone, davanti a noi si distende --- brullo e desolato --- il Piano Amaro: un immenso altopiano che insieme al Vallone di Femmina Morta costituisce la parte sommitale della Majella, culminante nell'elevazione arrotondata dell'Amaro.

Stella alpina appenninica

Stranamente mi sembra di avvertire con particolare intensità la rarefazione dell'aria (tutto sommato siamo a 2400 metri): il respiro è affannato ed un senso di improvvisa stanchezza e sfinimento mi assale completamente. Per fortuna gli amici sono pronti a rinfrancarmi con cioccolata e gallette: evidentemente lo sforzo finale in quota si è fatto sentire. Inoltre, approfitto della pausa introdotta dall'intenzione dei miei due compagni di costruire un ometto di sassi per indicare il punto di rientro in quell'altopiano completamente uniforme e monotono. Effettivamente la zona non offre alcun punto di riferimento particolare, a parte l'elevazione collinosa del Monte Macellaro, sulla sinistra, e ricorda un pò il versante meridionale del Sirente, con la differenza che questo altopiano procede pressappoco orizzontalmente.

Se le nuvole avvolgessero la zona sarebbe abbastanza difficile ritrovare la via del ritorno, dobbiamo proseguire guardandoci continuamente alle spalle per tenere sotto controllo la situazione sul versante Adriatico. Procedendo un poco scorgiamo davanti a noi, in lontananza, le rocce bianche della Grotta Canosa, e poi il rialzo dell'Amaro, connotato dal caratteristico pallone rosso del bivacco Pelino. Ora la via è intuitiva, prima la Grotta, poi la vetta e viceversa a ritorno, fino a scorgere l'omino provvidenzialmente piazzato in direzione del vallone di Taranta. Procediamo lungo il pianoro carsico, su terreno di brecce intervallate a cuscinetti di silene e stelle alpine, di tanto in tanto costeggiamo alcune notevoli doline, dal fondo completamente intasato di pietre. Qua e là spunta qualche fioritura giallo e violetta di astro, che interrompe la monotonia grigio-verde del paesaggio.

Uno sguardo sulla Val Cannella

Raggiungiamo le rocce bianche della Grotta Canosa e puntiamo decisi verso lo spallone brunastro dell'Amaro, in breve ci ricolleghiamo al sentiero proveniente da Fonte Romana, affacciandoci sulla lunga vallata di Femmina Morta, dominata dai pendii bonari del Monte Macellaro. Saliamo gli ultimi metri a svolte, fra finissime brecce e qualche roccetta, superiamo il pallone e finalmente siamo in vetta, presso la croce in ferro dipinto di rosso. Purtroppo le nuvole ci circondano su ogni lato, lasciando scoperta solo la zona dell'altopiano sommitale.

E' possibile scorgere la testata della Val Cannella ed il Monte S.Angelo che da qui pare un cono di finissima sabbia giallo-rossastra, a tratti si scopre la mole possente dell'Acquaviva, vero protagonista di questo panorama, con i suoi ripidi fianchi coronati da costoloni rocciosi che precipitano sul vallone delle Mandrelle. Ancora si scoprono i cocuzzoli del Monte Rotondo e di

L'Acquaviva emerge dalle nubi oltre la Cima dell'Altare

Cima Pomilio, dove corre il sentiero del Blockhaus, mentre assolutamente invisibile è il Pescofalcone, così come l'intera valle peligna.

Qualche escursionista presente insieme a noi sulla cima è preoccupato per la nebbia e affretta il rientro, la nostra via sembra invece ancora sgombra, così ci rilassiamo e ci concediamo un buon pasto, non fà neanche freddo e numerosi stormi di fringuelli ci volteggiano tutto intorno. Ci rimettiamo in marcia in tempo per riprendere l'ovovia, ma tutto sommato non ci spaventa l'idea di percorrere anche l'ultimo tratto di discesa a piedi: così, rinfrancati anche dal miglioramento nelle condizioni atmosferiche, decidiamo di deviare verso l'orlo della Val Cannella, nei pressi della Cima dell'Altare.

E qui si svela lo spettacolo più entusiasmante: è come se l'altopiano fosse inghiottito subitaneamente nel vuoto del vallone di Fara, il precipizio è fra i più “orridi” ed impressionanti che abbia mai visto, e non abbiamo il coraggio di accostarci troppo all'orlo. Sotto di noi si apre una voragine glaciale di brecce e sfasciumi che costituisce una valletta laterale sospesa sul vallone di Fara e sovrastata sull'altra sponda dalla Cima dell'Altare, che qui appare solo come l'orlo appuntito del pianoro sommitale. Ammirandola da Macchialunga avevo pensato che sarebbe stato interessante percorrerla, ma ora mi rendo conto che non è assolutamente possibile calarcisi dentro, neanche utilizzando corde o attrezzi simili. Ecco poi riapparire sullo sfondo, fra vapori sfilacciati e bianchissimi, l'Acquaviva che da qui appare anche più imponente e precipite, ben più sublime nella sua grandezza dell'Amaro stesso, che tutto sommato rimane una cima abbastanza anonima e defilata dal vero cuore del massiccio, che si apre qui davanti ai nostri occhi. Lasciamo questo spettacolo con l'intenzione di percorrere interamente, la prossima volta, il lungo crestone che separa l'interminabile vallone di Fara S. Martino da quello, più abbordabile, di Taranta Peligna. Riscendiamo soddisfatti nel grembo del vallone, dove le nebbie sono rimaste ad attenderci e ben presto ci riavvolgono in un mantello di calma assoluta, di silenzio irreale ed impenetrabile.