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Anello del Monte Autore (1855 m), da Camerata Nuova

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


La sveglia è alle 6.00, come sempre, e nell'oscurità gelida del mattino il primo pensiero corre al cielo: mi precipito sul terrazzo, tutto sembra a posto, solo qualche lieve velatura ad occidente; ma ciò che più mi colpisce è una sensazione insolita: una calma assoluta e totale pervade ogni cosa, le vie del paese, i fianchi scuri dei monti, il cielo trapuntato di timide stelle; è un attimo di perfezione, di silenzio sovrumano che raramente avevo provato prima, tutto appare muto ed immobile, anche le luci lontane di Vallinfreda e Vivaro, là oltre la piana. Rientro per preparare il té, e raccogliere un pò di calore dalla stufa: dieci minuti e l'incantesimo è già rotto, forse in attesa dell'alba imminente l'aria si riempie di fremiti e vibrazioni, gli animali nelle stalle cominciano a dar segno della loro presenza, solo il cielo rimane buono e sembra che tenga per il sereno. Invece, quando giungo al bar di Carsoli - ore 7.30 - la situazione si è completamente rovesciata ed una densa coltre di nubi grigie e tormentate copre ormai ogni angolo di cielo. Gli amici mi accolgono festosi, non sembrano preoccuparsi più di tanto: decidiamo di tornare a Camerata per salire all'Autore dove, al momento, si scorge l'unico sprazzo di sereno nei paraggi.

Arrivo a Camposecco con la neve

Ci incamminiamo sotto un cielo cinereo e, dopo circa due ore e con l'unico diversivo di una bella lepre che fugge via al nostro arrivo, giungiamo a Camposecco: nonostante abbia visto questo luogo forse un centinaio di volte, ad ogni ritorno si ripete l'emozione di affacciarsi sulla distesa perfetta di prati, incorniciata in fondo dagli scuri boschi dell'Autore, e sorretta a nord dai magri pendii delle Pachette, oltre i quali occhieggia il fianco regolare della Serrasecca.

Purtroppo abbiamo anche modo di constatare come un pannello esplicativo del sentiero Coleman (sentiero che unisce Tivoli al santuario della S.S. Trinità, attraverso i monti Lucretili ed i monti Simbruini) sia stato completamente divelto e distrutto da qualcuno cui prudevano le mani (sic!). A vederla sembra piccola questa piana, ma ad attraversarla ci vuole sempre più del previsto ... Giunti alla sterrata ed al Faggio dell'Abate prendiamo la pista che si inoltra sulla destra, nella Valle di Monte Autore.Questo primo tratto, pressoché pianeggiante, attraversa una serie di radure e di boschi silenziosissimi, ove non di rado si aprono repentine voragini che lasciano intravedere il cuore calcareo della montagna. Eccoci ai "Campitelluni", la radura più grande, dotata di numerosi tavolini e punti fuoco: un'idea simpatica, per certi versi, ma che in questo caso invoglia la gente a spingersi in macchina nel cuore dei boschi, quando verrà capito che le sterrate devono essere chiuse al traffico ? Neanche a farlo apposta, poco oltre una utilitaria è parcheggiata nel bel mezzo di un boschetto, del proprietario non vi è traccia, e non si capisce nemmeno se sia stata abbandonata lì.

Dalle Vedute: il Monte Tarino

Pian piano la valle si restringe, sino a coincidere con l'alveo dissimulato di un torrente stagionale, a tratti pavimentato di lisce placche di calcare. Il bosco sembra completamente privo di vita, non un cinguettìo, non uno scricciolìo a tradire la presenza di qualche animaletto. Ad uno slargo ci dobbiamo tenere sulla sinistra, per seguire i segni rossi che ci accompagnano dalla partenza. Più su ecco apparire le prime chiazze di neve, mentre qualche raggio di sole filtra fra i rami lasciando sperare per il meglio. Oltre è un bivio, dove ci teniamo ancora a sinistra (il ramo di destra conduce sulla sterrata Campo dell'Osso - Vedute dell'Autore non molto distante dal punto in cui sbucheremo anche noi).

Adesso la neve si fa consistente, il passo rallenta e la temperatura scende bruscamente, la pendenza si è accentuata, mentre una luce chiara comincia a profilarsi davanti a noi, oltre il bosco, ad indicare che la sella è vicina. Dopo un ultimo strappo siamo infatti alle "Vedute" di fronte alla maestosa visione del Viglio ricoperto di pesanti nevi e incorniciato da sbuffi di vapore tutto intorno alle creste. Ci sono volute circa 2 ore da Camposecco, e non ci sentiamo affatto stanchi, per questo propongo di salire alla vetta per il versante nord, seguendo prima la panoramica cengia che aggira la cima sulla destra.

Monte Autore: versante nord

Quanti ricordi questo luogo solleva nella mia mente: le prime avventure in montagna, quando si partiva da Roma con la corriera e questo era uno dei pochi luoghi accessibili; quei viaggi interminabili nascevano nel buio opprimente della città e si proiettavano verso le montagne azzurre, sopra le quali già l'alba irradiava nuova luce: poi ci affacciavamo da qui, verso quei paesaggi che ci erano sconosciuti e per questo emanavano un fascino ancora più magico e misterioso;

una distesa a perdita d'occhio di montagne senza nome, che attendevano solo di essere conquistate eppure erano, ahimé, sempre troppo lontane. Poi la sera si tornava a Subiaco, in attesa del pullman di ritorno, e si rimaneva sempre affascinati da quella vita di paese così distante dalla nostra eppure attraente perché imbevuta della magia segreta delle montagne. Questi luoghi un tempo erano la nostra frontiera, uno spazio autentico di avventura e di libertà, e oggi che ho conosciuto gran parte dell'Appennino, da un mare all'altro, sento di avere perduto qualcosa per sempre. Sono contento di guidare i miei amici su questo percorso, ecco un'elegante staccionata in legno ci introduce alla cengia, sulla destra si apre l'imbuto perfetto del Simbrivio, in tutta la sua ampiezza, sotto una alta bastionata di rocce si intuisce il santuario. Anche questa vallata, compresa tra l'Autore ed il Tarino, è sempre straordinariamente silenziosa ed immobile; eppure sembra quasi di poter sfiorare le case di Vallepietra con la punta delle dita.

Al Passo del Procoio

Meraviglioso e misterioso al tempo stesso è poi il piatto acrocoro del Faito, che si allarga ai piedi del Tarino, verso la valle dell'Aniene; una distesa compatta di foresta, cinta ai fianchi da compatti strapiombi che cedono poi il posto a pendii più dolci, non v'è un rilievo, dosso o elevazione lassù che permetta di orientarsi in quel mare verde ed impenetrabile, cosicché la sua esplorazione è rimasta sempre intentata da parte nostra. Superata la cengia raggiungiamo un'altra zona pic-nic e deviamo sulla sinistra, in direzione del versante nord della vetta: un breve passaggio nel bosco e poi un traverso su di un pendio innevato e vagamente aereo ed eccoci ai sassi della vetta;

purtroppo la coltre di nubi che ci circonda non permette di vedere ad un palmo dal naso, e conveniamo che il panorama da più in basso era nettamente preferibile. Senza esitazioni decidiamo di bivaccare comodamente presso i panoramici tavolini. Nel frattempo Mauro P. ha iniziato a delineare una proposta per un originale diversivo: perché non ridiscendere al Fosso Fioio e di lì fino a Camerata ? Rimandiamo la discussione a quando avremo lo stomaco sufficientemente pieno. Giunti al tavolino, splendidamente affacciato sulla Valle del Simbrivio e sulle vette imbiancate del Tarino, del Cotento e del Viglio, prende vita un lussuoso bivacco: è incredibile la quantità di viveri che possono sortire repentinamente da quattro sacchi da montagna; c'è pizza, panini, friselle, frutta a volontà, salame del re, torrone, cioccolato, caffè ed infine - forse per convincerci ad accettare il suo piano - il Mauro estrae due bottigliette di vino cotto Teramano a suggello di questa camminata post-natalizia. Finalmente si può discutere del ritorno: il piano è suggestivo, si tratta di scendere, attraverso il Passo del Procoio, fino alla parte alta del Vallone di Fioio, da seguire poi in discesa fino al paese; faccio notare che non c'è il tempo materiale per l'intero giro e sicuramente da quel lato ci attende un ritorno in "notturna", anche se non si tratta di un problema, visto che la sterrata del fosso è assolutamente facile. Così ci immettiamo a sinistra in un canaletto nevoso ed in breve raggiungiamo la Fonte degli Scifi: un'occasione per fare scorta di acqua freschissima.

I canyon del Fioio

Su terreno fangoso procediamo sino ad una grossa croce in legno e poi giù alla sella erbosa del Passo del Procoio. La sella è inondata dal sole del primo pomeriggio e l'erba splende di un colore verde intensissimo, in lontananza biancheggiano maestose le nevi degli Ernici. Di qui si dipartono i due sentieri che raggiungono il santuario della Trinità; noi invece dobbiamo seguire il declivio naturale della valletta, segnato ancora con vernice rossa. Per me è un percorso nuovo e molto piacevole, in un tratto la valle è solcata dal profondo segno di un torrente, tutto intorno sono placidi boschi di faggio.

Più a valle ci si immette nella foresta, dove l'aria è scura e più frizzante, ad un bivio, ove la conformazione naturale del terreno spingerebbe a sinistra, si devono invece seguire i segni rossi sulla destra (l'altro ramo conduce comunque al Fioio ma non è segnato). Con una lunga traversata verso destra (est) raggiungiamo finalmente la radura di Campo della Pietra, nei pressi del rifugio SAIFAR e della sterrata che da Cappadocia conduce al santuario. Nel sole ridente del pomeriggio prendiamo la carrareccia a sinistra del rifugio, che scende decisa verso il fondo del Fioio. Mentre mi guardo attorno penso alla bellezza precipua di queste montagne: un susseguirsi infinito di vallette, altipiani, fossi, foreste, ambienti sempre nuovi; non c'è limite all'immaginazione, si può scegliere una direzione e camminare una giornata intera sicuri di vedere posti sempre nuovi, scorci sempre suggestivi, paesaggi grandiosi e bonari, umili a volte, ma straordinariamente affascinanti.

Sul greto del torrente

Eccoci al profondo canyon singolarmente scavato dal Fioio nel suo primo corso (le sorgenti sono poco più a monte), una gola brulla sormontata da ripidi pendii che ricordano le ambientazioni di uno spaghetti-western: c'è anche l'acqua, scorre lenta e limacciosa sul fondo. Qua e là, sui fianchi della forra, si aprono piccole cavità, grotticelle oscure nel fianco di speroni calcarei. Oltrepassata la gola, la valle si fa spazio fra i boschi, sinuosamente. Poi si apre ancora in una successione di radure strette ed allungate, dove il fosso accompagna la strada percorrendo ampie anse. Ad un bivio sulla destra scatta l'ennesima proposta: si va al rifugio del Grascitone - luogo ormai leggendario nella nostra cerchia - per un breve sopralluogo.

Aggirando un modesto cocuzzolo siamo in breve alla costruzione - utilizzata in estate dai pastori e lasciata in condizioni discutibili - si trova in una graziosa valletta, fornita da un copioso fontanile, lungo la sterrata che risale verso il rifugio del Morbano e dunque l'asse del fosso San Mauro e della Valle della Dogana; preso dall'euforia e ancora insensibile alla stanchezza, vorrei seguire tutte queste piste in un solo giorno. Meglio invece godere della originale veduta sulle vette del Tarino e del Cotento, le cui nevi appaiono già rosate dalla luce radente di fine giornata. Riscendiamo al Fioio, dove consumiamo le ultime libagioni: sta imbrunendo e d'ora in poi dovremo proseguire tutto di un fiato fino a casa. Raggiungiamo la magnifica abetaia del Fioio, nella fioca luce che precede il crepuscolo, i lunghi rami avvinti di cascanti licheni sembrano protendersi come braccia di spettri verso di noi; di tanto in tanto mi piace voltarmi e vedere il fondo del cammino che diviene sempre più buio, fino

Al rifugio del Grascitone

a dissolversi in un nero nulla. Tuttavia la luce è ancora sufficiente per constatare sul terreno le demenziali evoluzioni dei fuoristrada che hanno lacerato di assurde ferite il bel fondo prativo della valle: quando si deciderà il Parco a porre fine a questi scempi ? Basterebbe chiudere la sterrata del Fioio, altro che via privilegiata (!) di collegamento verso la S.S. Trinità, come pensano ancora in molti a Camerata, rimasti legati ad una visione di cinquanta anni fa. In breve l'oscurità è preponderante, solo le nostri voci e i nostri passi risuonano nell'aria ferma della sera. Non abbiamo luci con noi, ma fortunatamente il fondo sassoso riflette la luminosità residua del cielo, indicando la via come un'esile bava di lumaca.

Nonostante ci troviamo nel cuore oscuro della montagna non siamo affatto tesi, per quanto mi riguarda mi sento ormai a casa, tanto familiare è la strada; comunque manca ancora molto. Giungiamo nel tratto più selvaggio del vallone, dove la forra si stringe fra alte rupi rocciose; da un momento all'altro mi aspetto di sentire il verso dell'allocco, che sempre di sera echeggia da queste parti, e spesso la notte viene a svolazzare anche intorno al paese: eccolo infatti, ci saluta da un posto imprecisato sopra di noi, con un lungo, sinistro, richiamo, vagamente modulato sul nascere, u-u-uuuuuuh !!!

Si sposta rapido da una sponda all'altra, seguendo il nostro cammino. Poi infine rimane alle nostre spalle, unico custode dei segreti della montagna. Siamo alle gole vere e proprie, me ne accorgo urtando la piccozza contro la parete rocciosa: è il tratto più impegnativo per il fondo totalmente sconnesso, ma ne usciamo a testa alta. Ormai immersi nell'oscurità assoluta, viene meno la distrazione del paesaggio e tutta la stanchezza accumulata nell'arco della giornata ha modo di esplodere subitaneamente: i piedi sono rigidi e tumefatti, le spalle sembrano di legno, i polpacci mordono ad ogni passo. Solo ad un tratto, ad uno slargo, volgendo la testa all'insù ci accorgiamo dello spettacolo meraviglioso che ci sovrasta: un cielo profondissimo, dominato da un'infinità di stelle dalla luce gelida, una densità di astri che difficilmente si poteva osservare altrove; ecco Cassiopea, proprio allo zenith, mentre alle spalle, sopra il giogo che chiude a monte la vallata, domina Orione. E'una visione di purezza assoluta, che pervade gli animi di una serenità superiore, celestiale. A movimentare il cammino interviene un guado inaspettato, affrontato affidandoci unicamente al tatto ed all'udito, con accortezza ne usciamo tutti asciutti. Si accelera il passo, desiderosi di raggiungere l'arrivo, qualcuno è in ansia ma tutto sommato sono appena le sette di sera, e nessuno si starà preoccupando per noi, credendoci magari in fila sull'autostrada. Nella totale uniformità nera che si apre ai nostri occhi riusciamo a scorgere delle flebili luci verdognole, appoggiate immobili sul fianco sinistro della strada: si tratta probabilmente di quelle lucciole, dalla forma di larva, che non possiedono ali per il volo ed emettono una luce fissa. Finalmente siamo agli ultimi strappi, risaliamo accanto alle prime case del paese, quando usciamo alla luce dei lampioni sembriamo degli zombie, storditi dal bagliore improvviso dopo due ore di buio totale; un saluto veloce, un'occhiata al vallone solitario che abbiamo percorso, l'avventura è finita: si torna a casa.