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Pizzo di Camarda (2332 m), dalla Val Chiarino

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


L'ingresso alla Val Chiarino, lungo lo stretto passaggio della diga della Provvidenza, è un passaggio repentino dalla luce all'oscurità: dai pascoli morbidi e assolati del Passo delle Capannelle ad una forra angusta e ombrosa, circondata da ogni lato da nere fustaie che lasciano a stento trapelare i raggi del sole. La strada è polverosa - indizio di una terra straordinariamente secca e assetata, come testimonia il basso livello delle acque nel lago - l'auto sussulta sul fondo sconnesso per un periodo di tempo che sembra interminabile, poi appare finalmente il rudere del Mulino Cappelli, dove decidiamo di parcheggiare. Iniziando a camminare ci accorgiamo soltanto adesso delle acque copiose che scorrono sulla destra della valle: il torrente Chiarino sembra in buona salute, nonostante l'assenza di piogge consistenti che si protrae ormai da molti giorni; merito della gran quantità di neve caduta questo inverno, che ancora si conserva nelle viscere del Corvo, dello Ienca e del Camarda. Il primo tratto di strada non presenta grandi attrattive, almeno finché non si raggiunge il limite della vegetazione, e si scoprono le prime vedute sui fianchi della valle. Superiamo le numerose radure ormai dominio dei "braciolanti" e siamo in breve alla Masseria Vaccareccia.

Fioritura di Giglio martagone

Ci fermiamo presso uno dei tavoli del rifugio, ad osservare la carta, la via è semplice: si tratta di seguire il ripido vallone che risale sulla destra (sud) verso la cresta compresa tra il Monte Ienca ed il Pizzo di Camarda; a pochi passi dal rifugio già sono presenti i segnavia giallo-rossi del CAI. Notiamo sulla sinistra, nei pressi di un fontanile, frondosi cespugli di uvaspina, i frutti sono ancora acerbi ma di una acredine gradevole e dissetante. La salita è subito ripida, senza complimenti, e si inoltra nel poco bosco su terreno coperto da brecciolino. In breve siamo al limite superiore del bosco, sopra di noi sono solo amplissime distese di erbe a perdita d'occhio, ma il vero spettacolo è alle nostre spalle, oltre il solco della vallata: la maestosa spalla del Monte Corvo si erge possente, ostentando una successione di prati, brecciai, e stratificazioni rocciose caratterizzate da una ripidità brutale e repulsiva.

Alcuni di noi si dilettano nel cercare di individuare improbabili passaggi sulle scoscese pendici sud-occidentali del "mostro", paradossalmente un'elegante linea di prati sembra scendere lungo il filo della cresta con pendenza inizialmente accettabile, per poi inabissarsi bruscamente verso valle, solo poche centinaia di metri sopra il piano di questa. In confronto, i pendii che scendono dal Camarda sono più dolci e piacevoli alla vista, coperti di fresche erbe agitate dal vento: qua e là spuntano vivaci fioriture di giglio martagone, preferibilmente nei pressi dell'ombra degli ultimi sparuti ed isolati faggi; il loro colore rosa screziato si alterna armoniosamente al giallo intenso delle genziane maggiori che pure si mostrano in gran quantità. Saliamo ancora per raggiungere una specie di ripiano erboso, acquistando sempre maggiore campo visivo sulla grande estensione della vallata sottostante, poi proseguiamo di traverso, avanzando fra delicati mazzetti di garofani dai petali quasi di stoffa, sino a toccare le prime roccette, nei pressi della cresta sommitale.

Salendo lungo i fianchi del Camarda

In breve raggiungiamo il crinale, in una zona fortemente modellata dal carsismo in morbide colline intervallate da brevi vallette; le risaliamo in fretta fino a raggiungere l'ampia conca del Piano di Camarda, nei pressi di un laghetto di acque dal colore terreo, circondato da mandrie promiscue di cavalli e bovini. A distanza, lungo le modeste elevazioni circostanti, sorvegliano con diligenza la scena possenti esemplari di pastore abruzzese, manifestando esperienza e professionalità al nostro passaggio, accolto con benevola superiorità.

Ci fermiamo per un piccolo ristoro sui pratoni che rimontano verso la vetta, in bella vista sul lago di Campotosto (che da qui sembra doppio, vista la sua forma semicircolare). Il resto della via è del tutto lineare, si tratta di risalire i morbidi pendii che ci sovrastano ad est fino alla vetta. Decidiamo di proseguire tenendo il filo di cresta, per meglio godere del panorama verso il Chiarino. Con piacere notiamo la presenza di numerose fioriture di astro alpino, specie di margheritona dai petali color viola carico, che testimoniano del clima tipicamente di alta quota di questa cresta che si allunga fra i 2000 e i 2500 metri sino al Pizzo Cefalone e all'altopiano di Campo Imperatore.

Nei pressi della vetta

Qua e là fanno bella mostra anche relitti di fioriture di genziana dinarica e genzianella, segno di una stagione tardiva e di un disgelo prolungatosi (almeno in alta quota) per tutta la stagione primaverile. In breve siamo ad un intaglio che apre su un ripido canalone, precipitante nella vallata come un ampio muro d'erba e sassi ben visibile dal basso, infine la vetta è raggiunta: ci sediamo intorno alla croce per consumare il pranzo. Singolare la vetta del Camarda: alle imponenti distese prative che ne caratterizzano il versante meridionale, si oppone bruscamente il vuoto colossale delle pareti rocciose sul versante settentrionale, verso la Val Chiarino;

siamo seduti comodamente sull'erba, ma un passo oltre la croce si apre un baratro di svariate centinaia di metri, una parete assolutamente verticale lungo la quale lo sguardo corre rapidamente fino allo stazzo della Solagna, senza che alcuna protuberanza o inclinazione della roccia ne possa frenare il cammino. Di fronte a noi il Corvo si manifesta in tutta la sua interezza: corpo possente di balena arenata fra le brecce del Gran Sasso; come un labirinto il suo versante meridionale mostra un susseguirsi di cengie, canalini intasati di sfasciumi, rocce rotte, grottoni e speroni appuntiti che risalgono verso la sinuosa cresta, coperta di finissima breccia grigiastra, come la pelle del cetaceo. Come una scolaresca in gita ci cimentiamo nell'individuazione del percorso seguito da un nostro amico (l'infaticabile "puma" di Ciciliano) nel tentativo di conquistare la vetta lungo quella parete ripugnante: ovviamente vinse il Corvo e fortunatamente il puma, trovandosi la via del ritorno preclusa, riuscì a riguadagnare lateralmente il sentiero normale.

Panorama dalla vetta verso l'Intermesoli

Oltre il Corvo, tralasciando l'amplissimo panorama verso l'interno dell'Appennino, altri protagonisti emergono in direzione di Campo Imperatore: in primo piano appare la Cima delle Malecoste, con le sue pareti dolorosamente tormentate e irsute, poi a sinistra ecco l'Intermesoli, più che ogni altro luogo regno dei brecciai senza fine, ed oltre, seminascosto da pesanti cumuli di vapore, il Corno Grande, che di qui mostra il suo aspetto meno roccioso e più "terragno" e appenninico. A nord, invece, appare verdastra la monotona linea della Laga, con il triangolo del Gorzano e la profonda incisione del Fosso dell'Acero.

Dopo il caffé decidiamo di ridiscendere nella Val Chiarino dalla Sella delle Malecoste, quindi proseguendo sulla cresta verso oriente; a prima vista sembra difficile scendere dall'aguzza sommità del Pizzo verso la cresta est, in realtà il passaggio c'è ed è meno impressionante e ripido di quanto sembri; conviene tuttavia fare attenzione, e tenersi a debita distanza dal vuoto sulla sinistra.

Il Pizzo di Camarda dalla cresta est

Quando raggiungiamo la cresta ai piedi del Pizzo restiamo sorpresi nell'osservare i compagni che ancora stanno scendendo: sembra che calino lungo un muro verde verticale, eppure non sembrava così ripido al passaggio ! Nel frattempo, da questo lato della vetta si incomincia a mostrare la possente parete nord del Pizzo: è un susseguirsi di rocce rossastre, grinzose e friabili, contornate da cenge di sfasciumi finissimi, l'impressione è di grande precarietà, un gigante di argilla pronto a disgregarsi sotto l'azione del vento, del ghiaccio e della pioggia. . Proseguiamo sulla cresta per fermarci poco dopo alla vista di un vivace serpentello brunastro: è una vipera dell'Orsini, una specie tipica dell'alta quota; il corpo è lungo a malapena trenta centimetri, con il capo ben evidente ma meno triangolare che nella vipera comune, leggermente affusolato, il colore è bruno sporco, quasi uguale a quello della polvere, con un bel disegno a zig-zag color marrone scuro;

il rettile si avvolge in posizione difensiva, forma alcune spire e ritrae il capo all'indietro, pronto a mordere con uno scatto fulmineo l'eventuale attaccante: la lasciamo tranquilla e proseguiamo oltre. In breve siamo alla sella delle Malecoste, al cospetto delle potenti pareti calcaree di questa cima meno "blasonata". Scendiamo nella valle seguendo una traccia nei brecciai che percorre un ampio giro sotto alle pareti, poi, prima di proseguire verso la Forchetta della Falasca, ci caliamo direttamente per ghiaie sul fondo del vallone.

La Cima delle Malecoste dall'Alta Val Chiarino

Eccoci nell'alveo di uno spettacolare circo glaciale, il terreno è tipicamente gibboso, solcato da ammassi rocciosi a campi carreggiati e ingombro di grossi massi erratici: lo spettacolo delle Malecoste aggiunge nuove emozioni e rende ragione del nome a prima vista. Procediamo verso il basso, con bellissima veduta sullo specchio azzurrino di Campotosto, poi scopriamo, in tutta la sua interezza, la grande parete del Camarda; in controluce le sue rocce sono divenute torve e oscure, perdendo il tipico colorito rossastro; quasi sembra uno spettrale castello, sormontato da nubi nerastre trafitte dai raggi del sole.

Diamo un ultimo sguardo a questo angolo spettacolare di Gran Sasso a torto trascurato: è un peccato che orde di camminatori si concentrino attorno al Corno Grande ignorando i grandi massicci periferici (come il Prena ed il Corvo) che spesso sanno offrire un ambiente ben più selvaggio e solitario. Ora ci attende la vallata del Chiarino, con le fresche acque che ancora discendono dai fianchi del Corvo, in breve siamo allo Stazzo della Solagna, e poi, galoppando, arriviamo alla Vaccareccia nella luce morbida del tardo pomeriggio.