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Camerata Vecchia e Camposecco in Autunno

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


E' mattina presto a Camerata Nuova, percorriamo le vie ancora vuote e silenziose, sino al piccolo forno, già all'opera da molte ore, in cui ci riforniamo di ottima pizza e buon pane casareccio. L'aria è fresca e un pò mossa, il cielo terso di una tipica giornata autunnale. Prendiamo via Madonna delle Grazie, sino al fontanile con l'insegna del Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini: di qui partela sterrata che conduce a Camposecco, la seguiamo per pochi metri, poi voltiamo a sinistra, seguendo i segni giallo-rossi del CAI.

Ruderi di Camerata Vecchia

Ci addentriamo nel bosco di arbusti, rosa canina, noccioli e aceri poi, ad un bivio,lasciamo a destra il sentiero CAI e prendiamo a sinistra il sentierocurato dall'ente parco (realizzato dai ragazzi di Camerata, c'è un cartello indicativo in legno). Saliamo a svolte, il bosco si fa piùfitto e buio, il sole non è ancora uscito oltre la lunga schiena della Serrasecca, d'un tratto un battito d'ali imponente, alziamo lo sguardo: un grosso gufo, spaventato, fugge via in alto fra i rami; ci rallegriamo dell'avvistamento e procediamo fiduciosi.

In cima alla salita, raggiungiamo il bivio con il sentiero per Camerata Vecchia e lo seguiamo verso sinistra; usciti dal bosco, ci appaiono le vecchie case del paese, silenziose le forme emergono dalla roccia come linee di una scultura, al centro, il caratteristico arco a tutto sesto domina l'abitato: un tempo questo era un fiorente villaggio rurale, arroccato su uno sperone roccioso a 1200metri di quota, era ben protetto dalle scorrerie dei Saraceni;

Madonna delle Grazie

tuttavia, nel gennaio del 1859, un tragico incendio distrusse il paese, che fu ricostruito in breve più a valle, in posizione senz'altro più favorevole agli scambi con l'area del Cavaliere. Ci inerpichiamo fra le vecchie rocce, guadagnamo la cresta: oltre, il profondo solco della valle del Fioio ci separa dall'imponente costiera della Serrasecca e del Vallevona, verso nord-ovest si apre la vasta Piana del Cavaliere, disseminata di paesi; un lungo fischio lamentoso ci avverte: una coppia di poiane volteggia nel cielo sopra gli alberi, in cerca di prede. Ritorniamo sui nostri passi, superiamo il bivio dell'andata (dove il sentiero riscende) e, questa volta, proseguiamo dritti fino alla magnifica chiesetta della Madonna delle Grazie, d'intorno lo spettacolo dei boschi è incantevole: macchie di rosso, giallo, ruggine, verde cupo tappezzano i fianchi delle montagne.

Proseguiamo ancora, lungo una sterrata, dopo una curva giungiamo ad un muretto, poco prima, sulla sinistra, ritroviamo la traccia del sentiero CAI: la seguiamo in netta salita nel fitto bosco di faggi, arranchiamo un pò sul terreno umido; a fatica ci portiamo in piano, le foglie dei faggi si fanno oro per la luce del sole che le attraversa, intuiamo il cielo ed oltre ecco la prima radura, sparsa di cespugli di rosa canina; i solchi nel terreno e le zolle rivoltate testimoniano il recente passaggio di un branco di cinghiali.

Camposecco: "Le Casette" [1]

Superiamo altre radure, poi un rialzo del terreno, lungo un fossetto invaso di pietre, eccoci infine all'ampia distesa erbosa de "le Prata" , cosparsa di doline e inghiottitoi; un branco di cavalli pascola libero all'ombra dei faggi,il maschio capo branco è sospettoso e ci viene incontro nitrendo violentemente: ci spostiamo un pò, mostrando sottomissione: sembra soddisfatto, può tornare tranquillo verso gli altri cavalli. Si scende un pò, davanti a noi, lontana, la cima gibbosa del Monte Autore occhieggia su un mare di boschi multicolore.

Eccoci in vista, finalmente, dell'ampia distesa di Camposecco, raggiungiamo il fontanile di Piano Iavone, vicino a noi "le Casette", ruderi di un'antica masseria. L'altipiano è animato da mandrie al pascolo brado, vacche e cavalli, fra le quali si mescolano stormi stonati di cornacchie e gracchi corallini. A sinistra (nord-est), sopra la costiera brulla delle "Pachette" un gheppio osserva dall'alto il terreno, con la tecnica dello "Spirito Santo" resta immobile nell'aria, battendo rapide le ali controvento.

Cima di Vallevona dal M. Camposecco

Al di là della piana (sud), prima del bosco, un faggio isolato, vetusto e contorto, ormai quasi spoglio: è "ju fao deju abbate" il faggio dell'abate, sotto il quale, secondo la tradizione, si fermava a riposare l'abate di Subiaco durante i viaggi verso il santuario della S.S.Trinità. Verso il Monte Autore, la piana termina con il bosco della Femmina Morta: qui, secondo un'antica leggenda, una madre in viaggio con il bambino, fu sorpresa da una tormenta di neve e, non trovando altro riparo, pose il bambino nel cavo di un vecchio albero, chiudendo il varco con il proprio corpo; fu così che salvò la vita al fanciullo, sacrificando la propria; si dice che,ancora oggi, nelle notti d'inverno, il fantasma della donna vaghi senza meta per quei boschi, alto come gli alberi secolari.

Dopo aver contemplato questo scenario unico, riprendiamo a salire a sinistra, su "le Pachette", raggiungiamo faticosamente la cresta e qui l'ultima sorpresa: una coppia di volpi, rosso-argentate, ci taglia la strada e fugge via, nei ripidi boschi che digradano al Fioio. Proseguiamo sul filo di cresta, verso nord-ovest (tornando, cioè, indietro) sino alla vetta di Monte Camposecco, segnata da mucchi di pietre; qui, verso sud-ovest, scorgiamo le moli della Tagliata e del Tarino ed oltre, i bastioni rocciosi del Viglio. E qui ci possiamo fermare: anche questo angolo di Appennino, apparentemente anonimo, ci ha regalato emozioni e sorprese inaspettate.

Note:

per il ritorno, si può accorciare seguendo per intero il sentiero CAI (segni giallo-rossi), senza deviare per Camerata Vecchia.

[1] Questa foto rappresenta ormai una testimonianza storica: infatti il vecchio rudere, a seguito di una discutibile decisione dell'ente parco, è stato ristrutturato e ampliato, con l'intento, sembra, di adibirlo in parte a rifugio.