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Monte di Valle Caprara (1998 m), dal Vallone Cervara

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Eravamo due amici al bar. Di Tornimparte, diretti alla verdeggiante Valle Ruella. La giovane barista, solida e cordiale, ci ha informato: "L'Università dell'Aquila nella Valle Cervara ha trovato faggi con 600 anni di vita". Ci eravamo già stati due o tre volte, notando le unghiate dell'orso sui tronchi degli alberi all'inizio della valle, ma senza immaginare l'anzianità del bosco. La domenica, prima bella giornata azzeccata dalle previsioni dopo una settimana di fallimenti, andiamo puntuali e spediti in Vallelonga, per fare il percorso che, attraverso la Valle Cervara, porta al Monte di Valle Caprara.

Immagini dalla faggeta

Lasciata l'auto nei pressi del fontanile sul greto asciutto del torrente di Prati d'Angro, prendiamo una sterrata che attraversa il prato e si dirige verso la Valle Cervara, tra il monte Marcolano e la costa di Schienacavallo. All'ingresso della valle la sterrata diventa un sentiero che costeggia il greto asciutto di un ruscello: con vecchi segnali del parco (R5), comodamente evita le sconnessioni del fondo del ruscello.

C'è un fresco piacevole, la valle è incassata ma non opprimente, perché la faggeta è larga e pulita, la salita è leggera. Conosciamo già il percorso, sappiamo di avere tempo sufficiente, l'ambiente invita alla ciàcola. Attività nella quale eccelle Vittorio detto "Scrimacolle", che salirebbe tranquillamente la direttissima del Velino chiacchierando.

Immagini dalla faggeta

L'aria del bosco si riempie delle avventure dell'ortolano alle prese con le stagioni, colle cipollette, con le patate, con i fagiolini, che si piantano e si spiantano, si innaffiano o si seccano, si concimano e si raccolgono. E della guerra continua contro la terribile "topanara", nemica implacabile del lavoro dell'ortolano (e amica della propria sopravvivenza). Insomma, capitoli del trattato De re rustica.

Ogni tanto ci fermiamo ad ammirare i grandi faggi che, come colonne di un tempio dorico, scandiscono lo spazio della faggeta: al ritorno proveremo a misurarne qualcuno con le braccia, scoprendo che ci vogliono almeno tre persone per cingerli. Sono i grandi patriarchi della foresta: incutono rispetto e danno respiro al bosco. E ogni tanto ne incontriamo qualcuno travolto dal tempo o dal fulmine.

Immagini dalla faggeta

Tra una chiacchiera e l'altra arriviamo ad un punto nel quale la vegetazione cambia. C'è un praticello ricco d'acqua e di erba, con una grande fioritura del crocus d'autunno, il cosiddetto còlchico (almeno secondo gli esperti botanici che abbiamo a tiro). Così siamo alla Fontana di Valle Cervara, circa 200 metri più in alto della partenza, una fonte ancora alimentata, ma in abbandono, con il bottino aperto che mostra le vasche d'acqua sorgiva che dovrebbe proteggere, lasciando libero accesso.

L'orso, signore di questo territorio, nonostante le premure del Parco che gli procura le melette selvatiche e i perastri, non si cura della manutenzione della sorgente. Animale ingrato.

Verso la vetta

Poco dopo la fonte il sentiero passa sotto una lastra rocciosa vicina alla testata della valle e piega a sinistra iniziando a salire decisamente il pendio boscoso. Dopo breve tratto di salita faticosetta si arriva a una piccola radura che consente di ammirare la spalla crestosa del monte Rocca Genovese: tradizionale punto di sosta. Qui incrociamo tre escursionisti al ritorno (sembrano locali dalla "parlata"), i quali subito ci interpellano: "Avete visto l'orso?".

Al nostro no, ci spiegano: "Lo abbiamo sentito, faceva grrrrrr...grrrr....grrr...., sembrava che non gradisse l'invasione del suo territorio e lo abbiamo intravisto a una trentina di metri". E via col vento, dato l'orario probabilmente diretti alla nota località "forchetta della tavola".

Maschio adulto di cervo

Da questo momento la salita riprende, sempre abbastanza ripida. Si parla dell'ipotetico incontro con l'orso: che fare se lo incrociamo? Ci si sbizzarrisce a immaginare le possibilità: abbiamo quattro mele e un bel sacchetto di ciambelle dolci, merce di scambio non ci manca. In realtà siamo in cinque, con tre voci maschili e due femminili, se attacchiamo un " la montanara uhè, si sente cantareeeeeeeee...." a cinque voci, mettiamo in fuga anche una tigre del Bengala, altro che un orsatto marsicano.

Poco dopo il pendio del bosco si fa più dolce, ci fermiamo ad ammirare due maestose colonne che costeggiano il sentiero. Rapidamente siamo al prato della Sorgente Puzza, cominciamo ad attraversarlo scoprendo un paio di larghe pozze piene d'acqua che dovrebbero essere il lascito della sorgente. In alto si scorge il regale avvoltoio grifone, che sale in tondo sfruttando le correnti ascensionali: uccello sempre molto interessato alla presenza di pensionati (tra noi ce ne sono due), dai quali si attende sviluppi promettenti. Destinati a restare puntualmente delusi.

Ancora una visione del Cervo

Traversiamo il bosco dopo il prato e siamo rapidamente alla sella Lampazzo alle pendici del costone occidentale del monte di Valle Caprara. Cominciamo a udire un brontolio sordo che si ripete: che sia lui, il padrone di casa, l'orso annunciato dagli escursionisti paesani? Il brontolio si ripete con frequenza, un'orso così schiamazzante sorprende. Tendiamo l'orecchio, guardiamo con circospezione: dobbiamo prepararci al grande incontro. Poco dopo udiamo il brontolio in un altro punto, e poi in un altro ancora: che ci sia il festival di Sanremo degli orsi? Poi scatta il ricordo del lago Vivo e della Valle Cupella, la tensione si scioglie, sono i versi dei cervi, frequenti nel periodo degli amori: non è il vibrante richiamo del maschio in cerca di mogli (che sembra il muggito di un toro raffreddato), ma il colloquio domestico in famiglie già costituite. Altro che l'orso, al termine della Valle Cervara c'è traffico di cervi.

Affrontiamo decisi lo spallone nervoso del monte di Valle Caprara e in capo a una mezz'oretta siamo sulla pianeggiante cresta finale. Lo spettacolo è grande: la conca morenica del Serrone e il Viglio presidiano l'orizzonte a ovest, a sud tutti i monti del parco, l'Amaro di Opi, il Marsicano possente, le Gravare e il San Nicola, la costiera del Petroso e della Meta, poi il Velino e il Sirente, e il Corno Grande e la prua alta dell'Intermesoli, dirimpetto la Montagna Grande con le sue emergenze, e sotto in valle alcuni prati ancora verdi. Il tutto avvolto nella luce dorata del primo autunno, con il verde che ancora resiste e il marrone delle cime che sfuma nell'azzurro del cielo e con esso si mescola.

Veduta sul Serrone

Sostiamo con tranquillità e anche un po' a lungo sulla cima, godendoci il sole e lo straordinario panorama (e anche i ciammillitti), poi, come si dice, ruit hora, e tocca riprendere la strada del ritorno. Scendiamo sempre ammirando i colori del "tutto appennino" che abbiamo sotto gli occhi. A un tratto Lena ci segnala i cervi: e vediamo quattro esemplari (due maschi e due femmine) che risalgono il ripido pendio erboso di Schienacavallo, arrivano sulla cresta spartiacque con la Vallelonga e cominciano a scendere sul bosco. Traversiamo la Sella del Lampazzo, il bosco successivo.

All'uscita, alla radura della Sorgente Puzza, Vittorio, che precede tutti, ci fa segno di tacere: "I cervi" sussurra. Ci facciamo avanti con cautela e vediamo le corna che spuntano dalle due pozze d'acqua. Sotto le corna due teste di cervo. Cervi maschi al bagno (e ci manca solo che si striglino la schiena con una spazzola). Ci avvertono e prima l'uno, poi l'altro escono dalle piscine e risalgono il pendio verso Schienacavallo. Attraversiamo la radura erbosa annusando l'inconfondibile profumo selvatico che il cervo rilascia, marca "Arrogance". Un incontro che completa una bella giornata.

Scendiamo veloci, il sentiero non è molto ripido, consente una discesa comoda. Col sole che ha cambiato posizione scopriamo ancor meglio l'imponenza dei grandi faggi che, a distanza l'uno dagli altri, popolano la valle. Rapidamente concludiamo la discesa e usciamo nella Vallelonga. L'escursione è finita, ma qui c'è un ultimo inaspettato regalo: il verde brillante del prato con il sole in controluce e la splendida veduta del costolone settentrionale del Serrone che si unisce al Balzo di Ciotto e domina imponente la valle illuminato dal sole. Forse ce la faremo ad andarci nell'autunno, altrimenti lo rivedremo in bianco all'appuntamento invernale con la Valle Cervara.