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Omaggio ai Monti Prenestini: le Cimate e il Santuario della Mentorella

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Nati nei dintorni, per anni abbiamo praticato questo percorso che è ancora il nostro preferito su questa montagna, quella dei nostri pastori e dei nostri contadini poveri di terre costretti per necessità a coltivare quassù per erte fredde, scomode e sassose, la meta delle escursioni da ragazzi, la “fungaia” da grandi e, da “escursionisti”, la palestra d’allenamento delle gambe, del fiato, della “tigna” (leggi cocciutaggine) e della curiosità, del senso di orientamento ma soprattutto il terreno sul quale abbiamo compreso la nostra sensibilità per questi ambienti e dal quale abbiamo potuto osservare buona parte dei grandi orizzonti appenninici, l’impegnativo ed avvincente interesse che, nei fine settimana in genere, ci ha aiutato a vivere negli ultimiquindici anni.

Ciciliano: sullo sfondo le Cimate

Anche i Ruffi dirimpettai sono un nostro monte che per la loro asprezza un po’ scostante abbiamo vissuto meno ma pur essi regalano ambienti e scorci emozionanti. Di loro diremo in un altro racconto. Ora torniamo ai Prenestini.

Non è ancora l'alba quando, intorno al 10 marzo, sbucando dai vicoli del paese, ci incontriamo furtivi, avvolti nelle penombre e nei silenzi sospesi della prima mattina. Non ci sono voci, non un suono se non gli echi smorzati dei nostri passi e i brusii del risveglio del mondo. Un mormorio soffocato trapela da una finestra accesa, stride lento un uscio, guaisce un cane illividito dal freddo, solitario ritma il nostro calpestio. Avviamo le vetture in leggera discesa, a motore spento che accendiamo appena fuori dell’abitato. Arrivati a Passo della Fortuna (471m), prendiamo a destra per un breve tratto di strada che porta, superatoun fontanile, alla chiesa di S.Maria Maddalena dove termina l'asfalto. Cominciamo a camminare e dopo dieci minuti di sterrata in salita alprimo forte tornante a destra usciamo volgendo a sinistra per un sentiero visibile seppure in parte occluso da una bassa macchia per poi superare, quasi subito, dei fili spinati aiutati da un cancello.

Fioriture di Romulea

Scura e gelida una fitta nebbia copre l’intera valle del Giovenzano e riverbera i tenui chiarori dell’aurora. Nell’aria incerta si sfrangiano i vapori notturni liberando assonnate luci dei casolari di pianura e la scia furtiva delle vetture già in marcia. Nell’incerto una vasta quiete tutto sovrasta ma s’avverte il vibrare sommesso delle cose. Un improvviso refolo freddo ci asciuga le guance. Dagli Ernici lontani, le cui bianche ombre appaiono tra Monte Altuino e lo Scalambra, s’alza soffuso un immenso arco rosa sulla volta cerulea, si distende, spegne gli ultimi astri e sorprende una stanca luna in fuga verso le ombre del cosmo. Si desta la valle, s’apre alla luce, si ravvivano le coste dei monti, il buio si scompone nei colori e nelle forme, rinforza il brusio, s’infiamma il rosa, si stempera il freddo nel palpito sospeso dell’aria nell' attesa del divino crogiuolo di suoni e metalli infuocati che sorge dall’oriente e incendia di colpo Monte Guadagnolo (1218 m, la più alta cima dei Prenestini) e lo scoglio della Mentorella. S’alza il sole e inonda d’oro le pianure cancellando ogni altra luce, rade nebbie sorprese s’interrano in macchie cupe. Splende la valle trapunta da accecanti, purissimi raggi nei colori lavati dalla notte.

Camminiamo per un piano inclinato fra i riverberi di fredde rugiade da poco assolate, avvertiamo lo scroscio impetuoso del fosso di Simone che, salendo, costeggeremo lungo il versante orografico sinistro. L’erba umida sospende veli di ghiaccio, è viscida, insidiosa, frizza l’aria, l’incerto sentiero s’impenna prima poi declina fra pietre, arbusti e fanghiglie verso l’orlo del fosso. E’ ancora freddo e la luce stenta a penetrare nell’ombra del torrente dove l’acqua cupa salta, scivola, turbina nell’alveo, canta, si screzia dei primi riflessi solari, si perde crepitando in basso verso i fossi della pianura. . Ci teniamo alti sul fossato, fra fastidiosi arbusti superiamo le vestigia di un’antica mola e ci riavviciniamo nel punto in cui un’acqua limpida, invisibile, si raccoglie in un piccolo catino. Rumoreggia il torrente, sugli argini verdi si avverte il dischiudersi al calore di tenere margherite, viole mammole, delicate primule.

Fioritura di Bucaneve (Galanthus nivale)

Alte, sulla destra, al culmine di un tappeto di erbe argentate, cerri e carpini in fiore, le rovine della rocchetta (Rocca d'Elci) sembra svolgano su noi l’antica funzione di avvistamento. Superiamo salendo un intricato ginestraio e ci portiamo su una traccia che in diagonale sinistra costeggia un franoso salto di terra pervenendo, dopo aver superato alcuni rivoli tributari (l’ultimo arriva dalla “fontana” e Guirrinu), al ramo principale su una serie di spumeggianti scivoli d’acqua.  Nell’umido della macchia filtra un tiepido sole e ricama l’ombra.

Lingue d’erba cominciano a serpeggiare nel bosco, prendono spazio, si diradano gli alberi, entriamo in un mondo di umidi  prati e spinosi rovi verdeggianti che aggiriamo calpestando ciuffi di fiori. Spuntano le prime orchidee. Il sole radente le coste boscose ci spinge verso la nocchia, la sorgente del comune di Ciciliano, un catino di terre pregno d’acque perenni, ribollente e turgido a primavera. Non siamo stanchi, favoriti dall’ambiente ci sentiamo invece sereni, abbiamo lasciato laggiù qualche ansia di troppo. Una breve sosta per caricare le borracce ai fontanili , poi ripartiamo, sempre per labili tracce, verso le cime ormai visibili. Affrontiamo un dosso erboso, gialli ranuncoli sfavillano, ci sorprendono, vibrano echi d’acque sotterranee, poi ancora un fosso.

La Valle del Giovenzano dalle Cimate

Attraversiamo per un attimo la sterrata, imbocchiamo un vecchio sentiero, procediamo fra intricate ginestre ed arbusti con passo attento. Intanto s’amplia il panorama sulla valle del Giovenzano da dove risale, sulle coste dei Ruffi prospicienti, un manto di verdi macchie che sfuma rossiccio fra le pietre di cresta oltre la quale lo sguardo s’espande profondo sulle candide vette appenniniche schierate dal Terminillo agli Ernici sotto un cielo netto. Costeggiamo infine un canale di terra che fra gli ultimi bucaneve ed una elusiva salamandrina, attraverso un ancora smorto sottobosco, ci porta alle Cimate (1050 m), note anche con il nome di Spina Santa. Le raggiungiamo ansimanti spianando fra multicolori crochi in un ambiente articolato su vari piani sommitali fatto di prati verdi abitati da pruni e rovi piegati dal vento, cimette pietrose, pendii boscosi. 

S’apre la vista ad angolo giro, ci fermiamo a lungo ad ammirare. Nelle valli assolate brillano in un tremore liquido mille finestre tra i pinnacoli dei fumi dei camini e il basso velario delle foschie. Dalle pianure di Roma, tutte visibili con la città della quale si distinguono quasi ad occhio nudo i monumenti maggiori, s’alza quassù, come nei Lucretili, un grande balcone sull’Appennino Centrale visibile dai rilievi dell’alto Lazio, dell’Umbria e delle Marche a quelli abruzzesi fino alle vette del basso Lazio e, più a sud, sfumate, a quelle della Campania. Ad ovest,oltre i Colli Albani, i Lepini e gli Ausoni, il lungo specchio accecante del Tirreno. E’ una visione di sorprendente vastità. Ripreso fiato proseguiamo sul largo crinale verso sud, superiamo fili spinati di confine, attraversiamo in saliscendi macchie di cresta e radure di fiaba lucenti dell’oro del sole, rinveniamo un segnale biancorosso, ci portiamo alla vista delle cime di Monte Guadagnolo.

Santuario della Mentorella

Lasciamo il segnale e, aggirando le erbose pendici occidentali di Monte Cerella (il monte presenta sui versanti opposti, intorno a 1000m di quota, una vasta faggeta, cosa rara a quest’altezza: è il Bosco delle Meridiane), ci riportiamo su ventosi cocuzzoli riscoprendo, ristorati da un sole finalmente caldo, i profondi panorami. Esplode la primavera nelle erbe rinnovate invase da crochi, romulee e margherite, nelle gemme degli alberi e degli arbusti, nei nitriti di puledri scalcianti vigilati dalla mandria, nell’anima dolce del dolce vento.

Siamo sulle cime sopra il santuario della Mentorella verso il quale ci stiamo dirigendo e dal quale, dopo una visita ed una breve colazione, inizieremo il viaggio di ritorno compiendo un tragitto a circuito. Affrontiamo con energia la discesa procedendo a vista fra rovi, pietrame, e prati viscidi e dopo aver attraversato più volte l’asfalto della strada che scende dal paese di Guadagnolo, arriviamo al Santuario (4,0 ore). E’ questo l’unico tratto della escursione, insieme a quello breve iniziale di sterrata, “contaminato”, ma non pesa nel complesso. Dopo la sosta ci immergeremo ancora in un ambiente che, non più sistematicamente assoggettato a dirette necessità umane, sta recuperando connotazioni di originalità soprattutto rinfoltendo in spesse macchie che ornano ormai, senza soluzione di continuità, i versanti occidentali e nordorientali dei Prenestini. Ed è tempo che questa risorsa, insieme ad altre, naturalistiche e culturali, sia gestita con spirito nuovo e conservata al meglio agli usi ed alle esigenze attuali, attraverso progetti organici, da tutte le comunità della valle del Giovenzano che è ancora sostanzialmente indenne  dagli sfasci irragionevoli di questa modernità. 

Fioriture alla Fonte Morrella

Visita al Santuario e colazione ci costano due ore buone, poi ripartiamo. Scendiamo per il sentiero Wojtyla, segnato biancorosso, che inizia dall’asfalto qualche metro prima dell’ingresso agli edifici sacri, dopo un quarto d’ora circa volgiamo a sinistra all’altezza di un segnale che indica “Ciciliano”, attraversiamo un fosso cupo di vegetazione poi un altro fosso fino a risalire leggermente, fra ginestre e rovi intricati, su un terrazzo verde conosciuto come, dai tempi in cui quassù si batteva il grano raccolto in agosto, l’ara ‘e la croce.

Continuiamo a scendere, spiccano dai boschi sottostanti le chiome di giganteschi tigli, intralciati da rigogliose “fratte”, attraversiamo verdi spiazzi ogni anno più ristretti ed infine, su tracce nascoste tra erbe e bassi rami, arriviamo alla morrella ,sorgiva la cui acqua fuoriesce dalle vene poste a livello di una vasca naturale e, scrosciando a primavera, tra i rovi e i fichi selvatici che ombreggiano la fonte. Grassi ceppi di primule cospargono il piccolo piano antistante e l’acqua che sguscia fra le pietre salta poi verso i tre murruni precipitando veloce fra rocce ed alberi e, nel saltare, lascia un grande, ineguagliabile cuscino fitto, fra verdissime foglie, di gialli ranuncoli brillanti d’acqua e di sole.

Un ristoro, lunghi sorsi d’argento nelle gole assetate poi, sempre verso nord, lasciamo il segnale ed imbocchiamo un sentiero quasi perso tra una invadente vegetazione e lo percorriamo fino a ridiscendere ai fontanili. Ci “spariamo” un po’ di frutta, ancora una robusta bevuta e ancora sostiamo chiacchierando amabilmente e commentando con soddisfazione l’escursione. Riprendiamo poi il passo perdendo quota per la ripida e fangosa destra orografica del fosso costeggiato in salita sull’altro versante. Il sole intanto, nel suo viaggio verso occidente, ha superato le Cimate inondando d’ombra le costiere orientali del monte ma persiste luminoso sulle creste dei Ruffi,  sulla lunga costiera di Vallevona e sulle pareti del Viglio e degli Ernici svettanti a est nella loro superbia fra i soffusi vapori delle nevi in fusione, un’icona sotto un cielo ostinatamente blu.

Attraversiamo il fosso più a valle e in diagonale ci riportiamo rapidamente sulla sterrata. Rallentiamo il passo, siamo arrivati ormai.