Monte Corvo (2623 m) dalla Valle del Chiarino
[Notizie generali] [Scheda tecnica]
“L’ ho sognato stanotte” racconta una nostra amica mentre in macchina, superato il Passo delle Capannellle, giù per la Valle del Vomano viaggiamo verso il Lago di Provvidenza da dove inizia la spettacolare pista che conduce al Corvo: la Valle del Chiarino. “Mi sono un po’ spaventata” continua “ho visto in fondo ad una lunga valle un becca enorme alzarsi vertiginosa per la sinistra, bruciata dal sole, ripida, imprendibile per noi, come faremo?” “Non ti far suggestionare dal racconto di chi lo conosce già questo bestione” dice uno di noi, “si prende, si prende, non è neanche tanto difficile ma in qualche punto ci vuole più attenzione del solito! Rasserenati quindi!”
Fioritura di Primule nella Valle del Vomano
La Valle del Vomano è da percorrersi in primavera, (marzo-aprile però) con le acque scroscianti dagli imponenti tufi del Monte Piano, limite dei monti della Laga, che da sinistra precipitano fronteggiando da vicino i calcari del monte S.Franco (gruppo Gran Sasso), con gli alberi in fioritura dirompente e le coste ed i dossi inondati da gialle primule ed anemoni biancoblù. Il Lago di Provvidenza è artificiale, cupo azzurro sotto appese coste boscose. Una diga assicura energia pulita, lo stretto ponte traghetta sulla riva opposta da dove si stacca la sterrata che porta fino allo Stazzo di Solagna, ad un’ora di marcia circa dalla Sella di Monte Corvo.
Entriamo nella Valle del Chiarino, il torrente che alimenta il lago, sullo sfondo un mastodonte solitario ed imponente presenta il suo biglietto da visita : è il Monte Corvo, arcigno come l’uccello dal quale prende il nome! Il sole trapela nello sventolio fitto e vorticoso delle foglie agitate dal roteare del vento e spruzza luci in perpetuo movimento sulla strada di terra. Ci inoltriamo nella valle superando fossi percorsi da silenziosi rigagnoli (è giugno inoltrato), sui dossi, bassa , umida, fitta, rigogliosa si esibisce la vegetazione di primavera.

Il Camarda dalla Valle del Chiarino
Sale progressivamente la strada, sicura sale la nostra piccola jeep (siamo in quattro), arriviamo alla Masseria Cappelli, un ampio spiazzo verde che ospita le rovine della chiesa di S.Martino, quelle di un vecchio mulino e una modesta organizzazione per il ristoro. Freme il Chiarino mulinando copioso nell’alveo d’ombre, scende con piccole rapide, l’acqua parla da regina.
Respira la valle, si snudano le alte coste nord del S.Franco, dello Ienca e, più lontane, del Camarda con gli imponenti spalloni d’erbe coronati da creste aspre, rocciose. Profonde lingue di neve calano per i valloni ancora freddi, sempre freddi. Sulla sinistra le propaggini ovest del Corvo con il Campiglione, prati inarcati verso cime vertiginose, preludio allo spettacolare triangolo di rocce ed erbe sul quale dobbiamo salire.

Pizzo di Intermesoli dalla sella di M. Corvo
Ci accolliamo una fatica: stop alla macchina che potrebbe portarci più avanti e via… a piedi. Ancora bosco ma l’aria si rarefa nell’impeto del vento, si netta, accentua i colori. Superiamo campeggi vari (???!!!) e il vallone cupo che sale ripido alla sella del Campiglione, erto spallone erboso nordovest del Corvo a volte spazzato da venti insostenibili che rendono difficile e pericolosa la risalita per quel versante anche in estate. Su un esile ed esposto passo risalgono “coraggiosi” escursionisti. Sfolgora la valle al sole di mezzodì, i nostri occhiali polarizzano colorando l’intensa luce, arriviamo alla Masseria Vaccareccia, il Corvo incombe, soffoca, difronte minaccioso, c’è il picco Camarda, una pala d’altare fulgida di sole!
Siamo ancora a 1500m slm ma l’ambiente è di alta montagna. Un fontanile scarica un potente getto d’acqua, un lento rivo scende dalle coste del Camarda incrociando un tratturo che risale verso i Piani, insieme lambiscono antichi stazzi. Nel vasto piano vibra un erbaggio intenso, profumato, sfumato dai verdi cupi delle ombre dei faggi fitti di foglie, agli smeraldini pascoli cosparsi da maree di gialle genziane, ronzano insetti, biancheggiano opache le creste che chiudono la valle, forme astratte, silenziose, vibra un silenzio magico. Polveri mosse dal vento animano gli scrimoli e vorticano esplodendo come fuochi d’artificio sulla stoffa cobalto del cielo. E’ quasi un’ora che camminiamo. L’acqua del fontanile ci sarà di conforto durante l’ancora lungo viaggio. Nell’aria resa fresca dal vento non avvertiamo l’implacabilità del sole.

Sotto i balzi finali di M. Corvo
Attraversiamo il piccolo torrente e tagliando dritto in 30 minuti siamo allo Stazzo di Solagna a quasi 1700 m slm. Il Corvo troneggia sulla nostra sinistra, s’impenna dai nostri piedi in un movimento verticale di polveri, brecciume e saltellanti scoli d’acqua. Spettacolari archi di sedimenti stratificati sostengono la sua grandiosità. Un deciso vento che ramazza la volta sostiene invece la nostra fatica. Lo stazzo, sul quale planano enormi ghiaioni, è un altro erbaio impressionante, fitto, tagliato dai piccoli e sassosi letti dei torrenti del disgelo di primavera. S’apre a destra e sale il sentiero che ci porta su un successivo pianoro articolato, modellato dagli antichi movimenti del ghiaccio, inciso da un profondo fosso che attraversiamo e poi costeggiamo rimontando fino alle sorgenti del torrente. Sulla destra il Camarda corre con l’alta cresta compatta verso le Malecoste.
Davanti, come are sacrificali, i profili della Forchetta Falasca, della Sella del Venacquaro e della Sella di Monte Corvo. Stretti fra colossi, per l’alta valle, su un fondo agevole, aiutati dal conforto dell’acqua, ci avviamo verso la Sella di Monte Corvo. Superiamo un tardo nevaio, calpestato da cavalli al ristoro, alimento di forti erbe e numerosi fiori montani e lungo i dossi erbosi del canalino di fondovalle, caricati dalla curiosità saliamo ansiosi, arriviamo sulla sella (2305m slm) spianando in un vento avvolgente , intuiamo un fulgore…… Ci sediamo sul ciglio del ripido e profondo declivio che scende al Vallone Venacquaro, il respiro s’acquieta, un sorso d’acqua, non vogliamo ancora vedere, prolunghiamo l’attesa…..ma un popolo di colossi inesorabilmente ci attira, siamo nel battito segreto della montagna, alziamo gli occhi! Dal suo trono il Corvo beffardo scruta la nostra meraviglia, intuisce dal nostro silenzio l’impressione profonda che ci pervade, sorride soddisfatto.

Intermesoli Corno Grande e Piccolo dalle pendici del Corvo
Vicinissimi, attoniti, siamo davanti alle polveri ed alla nudità dell’Intermesoli (2635m slm) ed al suo possente agile slancio che sostiene una lunga cresta che degrada a picco, profonda, dalla vetta fin sulla Sella dei Grilli per poi risalire sul ventaglio nord delle coste del Cefalone. Non una foglia, non un arbusto adorna questo immenso masso, solo brecce vertiginose, colate di calcari, rare erbe grigie di polveri fumanti che lo rivestono come un bianco fantasma. Le profonde valli ne sorreggono gli slanci, ne esaltano la forza e suggeriscono alla umana curiosità le vie delle ascensioni. E’ un mondo fantastico, in perenne movimento ben oltre l’apparente immobilità.
Creste, vette, canaloni, pietraie si susseguono, ci circondano, sprofondano. Domina la pietra nuda, la vertigine, la solitudine. Un mondo gelido ma abbagliante, un altro mondo, minaccioso, che esige grande rispetto. Un nugolo di gracchi spazzato dal vento fatica a tenere la rotta mentre ci rialziamo per avviarci in breve diagonale fra le ultime erbe, sotto i salti sommitali per superare i quali, non scorgendo evidenti passi, avvertiamo qualche ansia. La ragazza del sogno è tesa, concentrata nello sforzo, tuttavia decisa. Ai piedi dei salti tagliamo alcuni brecciai risalendo lentamente, ardono i calcari sui quali dobbiamo appoggiarci, sembra non trovarsi il modo per alzarsi ma il pur incerto tratturo, opportuni segnali e la nostra pazienza finalizzano la grande fatica cosicché in lenta progressione ci lasciamo sotto precari terricci, infide breccette, taglienti sfasciumi, rocce appuntite. È un primo tratto non lungo ma impegnativo da farsi con un po’ di attenzione. Arriviamo così sull’ala di un aereo, sopra veloci nubi risalenti dagli abissi: una sensazione di volo!. In alto la carlinga, la vetta, un poderoso salto sorretto da una sinfonia di enormi colonne di pietra rossiccia precipitanti in una vertigine infernale di cupe rocce per la gelida Conca Capovelle affacciata a nido d’aquila sul felice paesaggio delle colline teramane.

Croce di ghiaccio sulla vetta
E’ l’ultima spalla del Corvo, un laboratorio del freddo, una lunga cresta di incerte pietraie, di rocce spezzate, contorte, tritate dal gelo, innalzata su paurosi precipizi, come galleggiante nel vuoto con miracolosa levità, protesa a balcone sulle grandi cime del Gruppo. Oltre il Pizzo d’Intermesoli, sullo sfondo, i Corni, il Principe e l’Imperatore nello sfarzo delle loro immense pietre, inverosimili placche di calcare screziato di dolomite, dorate di sole, s’alzano vertiginose e superbe a segnare l’apice dell’Appennino. Il Corno Grande (2914m slm), coronato sotto le cime da vaporose nuvolaglie, domina muto, un Giove circondato dalla corte degli dei.
Il sentiero, un segno c’è sempre, che cammina fra semoventi blocchi di roccia ondeggianti su letti di detriti, è ben protetto dagli orribili strapiombi da grandi lastre verticali tagliate da spettacolari fenditure a finestra sulle valli, sale aereo per un esile e ventoso crinale fino a portarsi alla base degli ultimi pilastri di sostegno di vetta, su una comoda cengia aperta sull’opposto versante, sulla ormai profondissima Valle del Chiarino. Un piccolo salto da superare con cautela immette nell’ultimo troncone del sentiero che rapidamente porta alla vetta del Corvo ( 2623m slm) in parte ancora coperta da neve in lenta liquefazione. Abbiamo camminato per quasi 5 ore! Una croce di ferro, per la pioggia ed il freddo della notte, è una fiamma di ghiaccio acceso dal sole. Fiori di adonis decorano il piccolo piano sommitale che lento degrada verso la lontana vetta occidentale. Accovacciati, battuti dal vento, in silenzio ci ristoriamo guardando gli altri giganti negli occhi. Gli animi pervasi da una sottile ansia osservano ammirati, commossi, perduti nella grandiosità dello spettacolo.
Non ci sono siepi che escludono orizzonti, lo spazio infinito e i sovrumani silenzi non si immaginano, si vivono, la comparazione della nostra vita con quell’immenso e con l’immenso del tempo inquieta nel profondo i nostri cuori che invano chiedono risposte alla mente dolcemente adagiata, naufragata nella contemplazione di tanta grandezza. Uno sguardo, quasi una conta delle vette appenniniche dell’Italia Centrale poi ripartiamo. Con cautela, silenziosamente scendiamo i tratti delicati del percorso per arrivare sotto i bastioni di vetta da dove una veloce breccia ci riporta alle sorgenti alte del Chiarino. Sulla lontana piana di Campotosto brilla di sole sanguigno l’omonimo lago disteso sotto la costiera della Laga. Il rientro alla base è veloce, la grande fatica ha cancellato ogni fantasma, le ansie della nostra amica si sono dissolte!. Un sole stremato indora svettanti cime che penetrano il pallido cielo palpitante di tenui astri e cola sui fianchi e sui boschi crepuscoli bagliori ramati.