header-photo

Vetta Occidentale del Costone (2239 m) da Prato Capito

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Da molto tempo non ci recavamo sulle montagne del Velino e, in un certo senso, ci mancavano un poco quelle atmosfere grandiose e solenni che si respirano percorrendo le sue creste, sovrastanti immense distese brulle e malinconiche, ruvide e amare. Così decidemmo, di punto in bianco, di provare un percorso nuovo, ad anello, quasi completamente in cresta, che avesse come culmine la rocciosa e severa – ma solo per chi la osserva dal Campitello – vetta orientale del Costone, e toccasse alcuni dei luoghi simbolo del massiccio. Sono i primi giorni di agosto, insolitamente torridi e asciutti, arriviamo a Prato Capito (deviazione sulla strada per Campo Felice, prima del Valico della Chiesola) alle 8.00 del mattino, non sapendo bene quanto tempo occorra per completare il periplo. Caliamo per la sterrata che aggira il pianoro con il rifugio, entrando subito nel Bosco di Cerasolo, tralasciamo, dopo alcune radure, il bivio a sinistra (la Valle del Morretano, da dove dovremmo ritornare), e siamo già nel cuore di questa fitta foresta, tra le maggiori del gruppo. E’ magnifico trovarsi nel bosco alle prime ore del mattino, con la luce ancora radente che proietta magici giochi di luce sui tronchi screziati del faggio, è un trionfo di colori vividi e brillanti: il rosso delle foglie secche al suolo, il grigio verde degli alberi, il verde scuro delle chiome; tutto intorno i piccoli uccelli cinguettano allegramente e l’aria è ancora frizzante.

Semprevivo montano

Scendendo ancora, il bosco si fa più cupo, quasi buio, e mostra il suo aspetto più misterioso: in effetti, si tratta di una foresta di notevoli dimensioni, assai difficile da percorrere fuori dai sentieri, senza rischiare di perdersi, una foresta che nasconde al suo interno curiose formazioni di origine carsica, improvvise depressioni, spesso dalle forme rettangolari (ne trovammo una parecchi anni fa, girando a caso, ma non sapremmo davvero ritornarci), profonde anche una decina di metri, dei pozzi naturali che, in passato, si pensava (e tuttora si pensa, anche se non ci sono prove a favore) che potessero immettere all’interno di ambienti ipogei di notevoli dimensioni; d’altronde, al margine inferiore del bosco di Cerasolo, ormai in territorio di Tornimparte, si aprono alcune cavità e risorgenze (tra cui la Grotta di Vaccamorta) di un certo interesse.

Si scende ancora, a larghe svolte, mentre debole filtra attraverso la selva di tronchi e rami, in lontananza, il verde chiaro di un vasto pratone: in breve raggiungiamo una prima radura e, subito dopo, il tranquillo pianoro dei Prati di Cerasolo, come sempre popolato da mandrie al pascolo brado. A destra scorgiamo la lunga cresta erbosa che sale verso il crinale di S.Rocco e del M. Cava, orlando la Valle Amara. Senza addentrarci nel pianoro, prendiamo la prima carrareccia sulla sinistra che prosegue nel bosco, in salita. Il terreno è umido, ai bordi della mulattiera si alzano solitarie rigogliose fioriture di digitale, lo stelo diritto, a pannocchia, pieno di campanelline color rosa screziato di bianco; a terra, numerose pianticelle di fragole punteggiano il terreno, ancora ricche delle succulente e aromatiche bacche.

Solagna del Lago

Proseguiamo in salita, prestando orecchio a lontani latrati di cane, forse un gregge sui pendii della Torricella; attraversiamo dapprima una zona di bosco più spoglia, probabilmente soggetta ad un taglio recente, poi la pista si fa sentiero (segnato con radi segni giallo-rossi) e si addentra in una zona più buia, dal fondo polveroso, piegando leggermente verso destra (sud-est). Finalmente, raggiungiamo una prima radura, stretta e allungata poi, ancora in salita, una seconda, occupata da una modesta “macera” (i muretti a secco costruiti per contenere un gregge): valichiamo la fascia di bosco sulla destra, ed eccoci al rifugio di Campitello, sotto le rocce della Punta dell’Uccettu. Una sosta è d’obbligo, per ammirare la parete verticale e le fasce di rocce che chiudono questo angolo del grande pianoro di Campitello: sull’estrema destra, verso i pendii del Morrone, si intuisce la risalita che porta al Vado dell’Asina, tradizionale valico verso il Lago della Duchessa.

La radura è perfettamente silenziosa, immobile sotto il sole, animata solo dal lieve fruscio del poco vento fra le fornde degli alberi, dal battere e scrocchiare dei rami. Si riprende il cammino, a sinistra, verso la Sella di Solagna, già visibile da lontano; costeggiamo sotto le rocce verticali dell’Uccettu, mentre davanti a noi si scorge, per un breve attimo, la cima appuntita del Costone, dai cui margini frastagliati scendono ripidi ghiaioni: non siamo ancora sicuri di riuscire, raggiunta la vetta, ad attraversarla verso nord (la direzione del Morretano), laddove sembra che salti di roccia sembrano impedire il cammino. Sbuffando, seguiamo il sentierino che si inerpica a svolte fra sassi e boccette, sotto il sole ormai caldo e implacabile, che ci annuncia un prosieguo impegnativo. Eccoci alla Solagna, lo spettacolo è superbo nella sua desolazione: magri pascoli, gialli, inariditi dal sole scendono al di là, verso la Duchessa, verso il Malopasso, verso i pendii del Morrone; di fronte, l’anfiteatro dell’alta Val di Teve, il Vallone dei Briganti e la Valle del Bicchero, sovrastati, al culmine di una successione di rocce e sfasciumi, ghiaioni, torri e pinnacoli, dalla piramide del Velino, tinta di riflessi color rame.

Vetta Occidentale del Costone (2239 m)

Ancora, a destra, le arcigne rocce del Murolungo, solcate da lunghe pieghe verticali; scendiamo un poco per affacciarsi verso il lago, tuttavia stentiamo a trovarlo, per un attimo balena l’idea che quel caldo torrido lo abbia prosciugato ! Ma no, eccolo, in fondo alla depressione, le acque scure riflettono le rocce chiare del sovrastante Morrone, tranquilli branchi di cavalli e greggi di pecore si accostano alle sue preziose acque.

E’ tempo di risalire, verso la vetta orientale del Costone, che da qui appare solo come una modesta elevazione sul filo della cresta che chiude la distesa prativa affacciata sul Velino. Dobbiamo seguire il filo, per cercare l’intaglio da cui sia possibile, al ritorno, valicare verso nord, costeggiando le rocce della vetta; ad una prima sella il passaggio è possibile ma troppo in basso, proseguiamo per tracce – più piste da bestiame che veri e propri sentieri – fino ad un secondo intaglio: qui anche sembra possibile un vado, un prato in discesa conduce verso il ghiaione del Costone, in direzione di una evidente traccia che lo attraversa (ancora una provvidenziale pista tracciata dal buon senso delle mandrie al pascolo); intanto proseguiamo sul filo, verso la vetta, incontrando una famigliola solitaria di cavalli – mamma e due puledri – spintasi quassù forse per cercare sollievo nella debole brezza che si percepisce.

Fioritura di Campanula

Abbarbicati ad una fascia di rocce, splendidi cespugli di campanule viola ridonano vita al desolato calcare grigio; il percorso si fa più roccioso, ma mai difficile, fino all’ambita vetta. Da questa parte la montagna non fa certo impressione, costituendo solo il culmine di una spianata erbosa, ma sporgendosi un poco verso nord, osserviamo con rispetto gli strapiombi rocciosi che precipitano verso la Fossa del Puzzillo (una vera e propria depressione che si apre ai piedi della bastionata del Costone): la cresta prosegue con salti di roccia fino a risalire alla vetta occidentale, proprio sopra il rifugio Sebastiani che, visto da qui, sembra essersi ingrandito dall’ultima volta che ci siamo passati. Dall’elevazione su cui ci troviamo uno sperone roccioso cala verso nord, con picchi e torrioni dall’aspetto piuttosto friabile: nonostante alcune carte lo segnino come percorribile, sembra piuttosto improbabile che si possa seguire quella successione di rocce rotte, ripiani e cengette ricoperte di brecciolino, la cui vista già fa venire i brividi.

Approfittando di una sorta di largo sedile in pietra, ancora in ombra, ci concediamo uno sguardo più attento alle pareti del Murolungo: sul versante rivolto verso di noi la roccia presenta una profonda piega che scende dall’alto e raggiunge terra formando una specie di misterioso antro, dal fondo occluso dalle brecce, dovrebbe essere la cosiddetta Grotta dell’Oro; la curiosità è forte, potremmo tentare di raggiungerla oggi stesso, ma dovremmo rinunciare al nostro giro, meglio rimandare l’esplorazione alla prossima volta che saliremo al Murolungo. Ulteriore curiosità e stupore nascono alla vista di una folle traccia di sentiero che, attraverso una successione di cengie, attraversando impossibili colate di pietrame, scende dalla Selletta dei Cavalli sul versante della Val di Teve verso il M. Rozza: vista da qui sembra sospesa sullo strapiombo, miracolosamente, eppure anche quella deve essere una pista che ha origine nelle incessanti, millenarie peregrinazioni, spesso molto faticose ed anche rischiose, dei pastori dietro le loro greggi. In fondo, i viaggi che noi intraprendiamo con spirito d’avventura, per appagare la nostra curiosità ed il nostro desiderio di conoscere, erano (e spesso lo sono tuttora) la dura realtà di ogni giorno per i pastori che dovevano vivere di ciò che questa montagna “amara” concedeva loro.

L'arcata del Costone

E’ora di ridiscendere, seguendo il filo di cresta fino all’intaglio individuato precedentemente; valichiamo rapidamente sul pratone, poi per pendii più ripidi e disagevoli, raggiungiamo la pista solcata nella colata di brecce che scende dalla vetta: di qui il percorso è quasi in piano e ci porta al margine delle elevazioni che chiudono la Valle Leona. Di qui possiamo osservare ancora la bastionata compatta del Costone, dominante la sconsolata vallata che scende verso Campo Felice.

Sulla sinistra invece si distendono i magri pascoli del Campitello, punteggiati da caratteristiche macchie di ginepro. Seguiamo il filo di cresta, risalendo un’elevazione senza nome (in cima è un ometto, il passaggio è obbligato se si vuole proseguire oltre); ancora un’occhiata al panorama, verso l’anfiteatro del Morrone e poi ancora verso l’Uccettu, che ora non sembra più tanto imponente e quasi si confonde con i rilievi attorno. Scendiamo ripidamente verso un altro passo, da dove sale una pista proveniente dalla Valle Leona, ed imbocchiamo l’evidente sentiero che risale il fianco della Torricella: il passaggio è piacevole, fra prati ancora freschi e verdi e basse macchie di ginepro, il tutto incorniciato in alto da un impareggiabile cielo, azzurro, intenso, completamente scevro da nuvole e vapori. Arrivati sufficientemente vicini alla cresta, valichiamo dall’altra parte, dove la vista si apre sul selvaggio vallone di Morretano e le aride rocce del Puzzillo e della Cornacchia: i prati sono color ruggine, quasi come bruciati dal sole, lo spettacolo è maestoso nella sua solitudine, nel silenzio assordante, nella vastità della visione (leggeri, in lontananza, appaiono i giganti del Gran Sasso: il Corvo, l’Intermesoli, i Corni …).

Passo del Morretano e M. Puzzillo

Un gheppio ci volteggia improvvisamente davanti agli occhi, a pochi metri, la sagoma svelta, le ali appuntite, color della terra, nere alle estremità: lo seguiamo nelle sue evoluzioni leggere e imperscrutabili, sapientemente sa sfruttare ogni minimo refolo di vento per levarsi in alto e poi scendere veloce quasi a sfiorare i prati. Proseguiamo un po’ su questo versante del monte, poi in cresta, l’acqua comincia a scarseggiare ed il clima è quasi africano … La carta indica una fonte (Fonte della Torricella) non lontano, la cerchiamo ma, dall’alto, la scopriamo desolatamente secca, non resta che aspettare di raggiungere il fondo del vallone.

Proseguiamo in cresta, aggirando la vetta vera e propria della Torricella, poi seguendo un sistema di aridi fossi che cala verso sinistra, verso l’inizio dei boschi del Morretano. D’improvviso, una creatura terrea si materializza davanti ai nostri occhi: uscita da chissà quale anfratto o crepa nel terreno una lepre salta via impaurita e scompare velocemente alla vista. Finalmente una rampa raggiunge i primi alberi - la sosta sotto la prima ombra incontrata da circa due ore è obbligatoria – poi veloci verso il fondo ed il fresco bosco di Morretano: ancora uno sguardo alle modeste rocce della Torricella ed alle ripide pendici del Puzzillo fasciate di brecce e calcari, poi giù nella macchia. Galoppiamo veloci – l’acqua è ormai finita – deviando brevemente per la Fonte del Morretano: anche questa è secca, le vacche nei paraggi ci osservano beffarde, non ci resta che tornare rapidamente alle auto. Brevemente ci riportiamo, seguendo la carrareccia, al bivio lasciato all’andata ed infine al parcheggio. Lasciamo Prato Capito sotto il sole cocente delle quattordici, fissando ancora lo sguardo sulle spoglie distese che abbiamo percorso, si stagliano imponenti sul fondo azzurro, silenziose, solitarie e maestose.