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Monte Crepacuore (1997 m), da Morino

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


La Vallata del Liri risplende del verde tenue delle nuove foglie mentre, sotto un cielo plumbeo e gonfio di umidità, scendiamo nella conca ove si adagiano le case di Morino. In alto a sinistra, al culmine di una successione ininterrotta di boschi, occhieggiano le rocce del Ginepro, alte sul Vallone del Rio, sopra le poche case di Rendinara.

Ophrys holoserica

A destra, invece, i ripidi pendii grigio-verdastri del Viglio sono ancora punteggiati dalle ultime chiazze di neve. Man mano che si avanza fra le case del paese, lungo le strade ancora deserte, si scopre di fronte la grande parete rocciosa solcata dall' arco bianco cristallino della cascata. Raggiungiamo lo Schioppo ad una chiusa dell'Enel, saliamo per la ripida via a destra, costeggiando un laghetto, fino ad un piccolo parcheggio, nei pressi di una bacheca della Riserva e di un ristorante. Certo il tempo è davvero inclemente, sembra voler piovere da un momento all'altro, ma calziamo ugualmente gli scarponi, decisi ad effettuare almeno una breve ricognizione. Raggiungiamo l'ingresso del ristorante, proprio di fronte al cancello una freccia rossa sulla sinistra indica un sentierino che costeggia il recinto e si inoltra nel bosco.

Superato un piccolo torrente artificiale raggiungiamo un poggetto, cosparso di cespugli di ginestra, e ci ricongiungiamo alla sterrata che, proveniente dal laghetto, sale verso le rocce delle "Scalelle". La carrareccia prosegue in salita nel bosco, fra aceri, cerri e noccioli, ornata da arbusti di ginestra - i fiori grandi di un intenso color giallo - ceppi sfioriti di orchidea, rosa canina, fiordalisi e campanule, lo splendido fiore di un'orchidea apifera ondeggia timido in cima al suo esile stelo, ai margini del bosco. 

Cascatella lungo il sentiero

In breve, la strada si fa sentiero e raggiunge il costone roccioso delle Scalelle; seguiamo un'esile cengia scavata nella roccia scura della montagna, fra le cui fessure albergano cespugli di genziana e macchie di timo, dall'intenso profumo aromatico. Dopo un'ansa stretta ed un pò scivolosa (attenzione !) raggiungiamo uno spiazzo con una Madonnina che domina la vallata sottostante. Di qui non si vede la cascata, nascosta da una costa della montagna, ma tutt'intorno si percepisce lo scrosciare continuo dei torrenti disseminati nel bosco e sul fondo dei valloni incisi nel calcare. Continuiamo a salire, raggiungendo un corso d'acqua: una spumeggiante cascatella forma una piccolo laghetto e poi precipita ancora verso il fondo del vallone. Superiamo, uno alla volta, lo specchio d'acqua, facendo attenzione sulle rocce viscide che permettono il guado. Il sentiero sale ancora, a ripide svolte, attraverso una fascia di bosco costituita per lo più da grossi aceri; il pendio è molto ripido, rivestito da rigogliosi ciuffi d'erba.

In breve raggiungiamo una spettacolare parete rocciosa, i colori rosso - ocra rigati da striscie scure di ossidi depositati dalle acque, ricordano molto la grande rupe della Tagliata, che sovrasta il Santuario della Trinità.

Rocce sopra la cascata

Non si tratta però di solido calcare, ma di brecce e conglomerati marnosi, assai più friabili: tutta la base della parete è cosparsa da enormi massi precipitati dalla volta chissà quanto tempo fà; qui siamo esattamente sopra la risorgenza da cui sgorga il ramo principale della cascata, se ci potessimo affacciare sull'orlo del precipizio, vedremmo l'acqua fuoriuscire dalla parete rocciosa sotto i nostri piedi. Non è il caso, però, di indugiare troppo sotto queste rocce che sembrano così instabili ! Saliamo ancora, raggiungendo infine l'orlo dell'ampio gradino roccioso che chiude la valle solcata

dallo Schioppo, siamo finalmente nell'ampia conca boschiva del "Cauto". Ad un bivio, presso un anfiteatro roccioso, un cartello in legno indica la via per la chiesetta della Madonna del Pertuso, magnifico romitorio scavato nella roccia che è meta, ogni anno, di un pellegrinaggio che sale da Morino lungo questa tortuosa strada; può essere senz'altro la meta per un'escursione più breve (siamo a circa 2 ore da Morino).

Ingresso del "Pertuso"

Noi proseguiamo a destra, in salita, raggiungendo subito un suggestivo passaggio nella roccia, un tunnel naturale (il "Pertuso" appunto) che sembra dare il nome a tutta la zona (Cauto, nel dialetto locale, significa proprio "scavato").

Entriamo, la luce che filtra da una fessura in alto proietta riflessi giallo-verdastri sulle pareti, conferendo allo stretto passaggio un'atmosfera da grotta, da antro fiabesco. Proseguiamo nel bosco, fino ad una radura: sulla destra (nord-est) si scorgono le estreme propaggini del Viglio, i pendii dell'Arsiccia; si sale ancora sulla sinistra, nel bosco, seguendo piccoli valloncelli naturali. Ora siamo nella grande faggeta, piante alte fino a trenta metri lasciano appena filtrare la poca luce di questa giornata piovosa; a terra l'immancabile, soffice tappeto di foglie secche dai colori dell'oro e del rame. Il sentiero si snoda fra grossi massi fessurati, coperti da grandi chiazze di muschi, segue le vie tracciate dall'acqua nel suo eterno scendere verso la valle. In breve siamo ad un nuovo bivio, tralasciamo ancora il ramo di sinistra (indicazione per il rifugio della Liscia) e proseguiamo dritti (Ara di Collelungo) fino ad un grosso rifugio in muratura, chiuso a chiave (!).

Fioritura di anemoni (Pulsatilla Alpina)

Una breve sosta, l'entusiasmo è calato, sopra il fitto tetto di foglie che ci protegge si sente battere un'intensa fine pioggerella, che non smette di tormentarci, alcuni vorrebbero tornare indietro, ma ci sembra un peccato abbandonare questo ambiente grandioso e per noi inesplorato.

In leggera discesa, lungo un'ampia pista battuta, raggiungiamo una radura da cui si scorgono i pendii sommitali del Peschio delle Ciavole e del Crepacuore. La vista ci incoraggia, anche se la meta è ancora molto lontana, almeno la via sembra ormai evidente. I segni giallo-rossi attraversano la radura, cosparsa di grandi piante di asfodelo, all'inizio della fioritura, con i primi grandi fiori bianchi a pennacchio, per la verità un pò lugubri.

Veduta sul M. Pozzotello (1995 m)

Il sentiero si fa davvero ripido, si sale lenti, con grande fatica, sul fondo umido e scivoloso della faggeta, di tanto in tanto si aggirano veri colossi arborei, colonne che si innalzano diritte verso l'alto, verso il soffito verde di foglie, la mano sfiora la corteccia rugosa di questi patriarchi, quasi ne sente scorrere la linfa vitale. Questo tratto ci costa davvero tanta fatica, gli alberi nascondono il paesaggio ed è molto difficile capire quanto manchi al margine superiore della foresta. Poi, finalmente, con un ultimo strappo raggiungiamo un crinale, qui i tronchi sono molto diversi: esili, corti e contorti in forme bizzarre, che ricordano a qualcuno le anime dannate dell'inferno; deve essere l'effetto dei forti venti che, evidentemente, battono questo crinale, dobbiamo essere vicini alle creste sommitali: una fascia di rocce bianche investite dalla luce diretta sembra confermarci questo sospetto.

Infatti, dopo poco, sbuchiamo finalmente alla luce del giorno, sotto i pendii spogli del Peschio delle Ciavole, ecco il paesaggio tipico dell'alta quota appenninica: grandi macchie di ginepro, schiacciate al suolo, aggrappate tenacemente alla terra per non essere divelte dalla forza dei venti, cespugli di viole dai fiori molto grandi (forse per l'abbondanza di acqua), gialli ranuncoli tutto intorno. Una breve deviazione sulla sinistra (sud) ci porta fra pendii terrosi, spogli, infidi, da cui spuntano qua e là allegri cespugli di anemoni, ondeggianti alla brezza; ad una sella la vista si apre sulle rocce del Pozzotello.

M. Crepacuore (sullo sfondo il Viglio)

Oltre è Campo Catino (il sentiero 5 prosegue proprio in quella direzione), il brullo pianoro del Campovano e le vette del Fanfilli e della Monna. Ma torniamo sui nostri passi: verso nord-est si scorge la cima del Crepacuore seguita, in secondo piano, dalla cuspide del Viglio. Cerchiamo di proseguire a mezza costa, a vista, su tracce di sentiero, poi risaliamo gli ultimi pendii erbosi e finalmente siamo in vetta: fortunatamente ha smesso di piovere, ma l'aria umida limita il panorama alle sole vette vicine.

La vista sugli Ernici è completa: di fronte la mole rocciosa dell'Ortara, poi, d'infilata, le vette del Ginepro e del Passeggio che coronano la Valle del Rio ed oltre, la cima aguzza e rocciosa del Pizzo Deta sovrasta il tutto. Verso nord, le vette maggiori dei Simbruini: oltre alla grandiosa piramide del Viglio, il tozzo Cotento che domina la vallata di Filettino. Verso sud - est, infine, ecco la costiera della Serralunga, che segna il confine con il Parco Nazionale d'Abruzzo: si riconoscono il Breccioso ed il Cornacchia, alti sulla Valle Roveto, seminascosta la stretta cima del Serrone; più in là, un'ombra velata lascia intuire le moli del Genzana e della Majella.

In discesa, la via è obbligatoriamente la stessa, ma prima di concludere sono doverose alcune osservazioni sulla gestione e sulla tutela di questo ambiente montano. In primis, tutta la zona descritta fa parte della Riserva Naturale di Zompo lo Schioppo e dovrebbe dunque essere sottoposta a particolari divieti, il cui rispetto dovrebbe essere garantito da una opportuna opera di sorveglianza del territorio: perché allora, al ritorno dalla nostra escursione abbiamo sentito i soliti motocicilisti che con le loro assordanti carrette si spingevano sul sentiero fino alle Scalelle (lasciando ovunque tracce del loro passaggio) ? Perché si udivano spari di fucile in una zona che dovrebbe essere interdetta alla caccia ? E perché, venendo qui un ferragosto di qualche anno fa, trovai una moltitudine di persone che invadeva ogni recesso del bosco ai margini della cascata, accendendo fuochi anche sotto gli alberi e nella macchia ? Riserva Naturale non significa soltanto sfruttamento economico dell'afflusso turistico che una risorsa come questa garantisce, ma tutela e conservazione dell'ambiente naturale, applicazione severa dei divieti, controllo dei flussi turistici, presenza e sorveglianza sul territorio.