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La Valle della Dogana e il Sasso Grosso, da Pereto

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Ancora una volta, dopo una settimana di sole, la domenica mattina ci salutano nuvole e freddo: questo inizio dell'anno è stato davvero singolare, poca neve e tanta pioggia, quasi ogni fine settimana. Ci ritroviamo un pò delusi al bar a Carsoli, un breve consulto per decidere cosa fare: c'è chi propone il Breccioso, chi il Puzzillo, ma lo strato uniforme di nuvole non invoglia certo a salire in quota; meglio optare per una camminata nei boschi, uno squarcio di cielo azzurro fa capolino sopra le propaggini dei Simbruini, decidiamo di dirigerci verso la Valle della Dogana.

Assolato di Acquaramata

Raggiungiamo il borgo di Pereto, con il suo severo castello, prendiamo la sterrata che sale sopra il paese, supera il monumento all'Alpino e si incunea fra le dorsali della Serrasecca e del Monte Fontecellese; lasciamo a destra il bivio per il fosso di S.Mauro, proseguiamo fino ad un pianoro con alcuni rifugi e qui parcheggiamo.Il cielo va aprendosi e a tratti i raggi del sole fanno brillare il prato ancora imperlato dalla rugiada. Una sterrata sale a svolte lungo un poggio, costeggiando la faggeta in direzione della cresta uniforme che unisce il Fontecellese al Midia.

Entriamo nel bosco, sono piante relativamente giovani, il fusto alto, diritto; solo ogni tanto appare un vecchio patriarca, dal corpo nodoso e contorto, ammantato di verdi muschi e pallidi licheni. La mulattiera scende lievemente, alla confluenza con il pianoro di Camposecco, solcato dalla ossessiva sequenza di paletti del metanodotto; pare che, prima che iniziassero gli scavi, questo pianoro fosse uno dei luoghi più incantevoli di queste montagne, rinomato per le sue fioriture colorate.

Fioritura di Crochi

Risaliamo verso sud-est, seguendo la traccia dello scavo, dopo poco siamo ad una piccola radura, l'erba è intensamente colorata di verde, a ribadire l'abbondanza di piogge di quest'ultimo periodo;

superiamo un piccolo specchio d'acqua limpida, poi una strettoia fra le opposte propaggini  del bosco, infine ci immettiamo nell'ampio Assolato di Acquaramata: grandi chiazze violette di crochi tingono i prati e le colline intorno, sfumando in lontananza lungo il percorso, mentre il sole si decide finalmente ad uscire dalla coltre di nubi.

Il laghetto della Dogana

Giungiamo ad un altro specchio d'acqua - stavolta più grande e insolitamente movimentato - quà e là bolle d'aria ne increspano la piatta superficie, un sordo gracidio interrompe ritmicamente la quiete d'intorno, seminascosta nelle acque limacciose, fra i fanghi della riva, scorgiamo una moltitudine di rospi: alcuni si affacciano sul pelo dell'acqua e ci guardano incuriositi, approfittano della temporanea abbondanza di acque in superficie per la riproduzione, poi, con la stagione secca, torneranno nel terreno umido del sottobosco.

Proseguiamo il cammino, passando accanto ad un rifugio diruto - uno dei tanti - la strada si incunea in una piccola gola, qui i crochi assumono una coloritura più scura e intensa, ad essi si accostano le esili violette, si notano talora le ultime chiazze di neve di questa breve stagione invernale. 

Il Monte Padiglione e la Valle della Dogana

Una breve discesa nel bosco, su fondo sconnesso e sassoso, ci conduce al Pianoro della Dogana - altresì detto Piano del Pozzo - sotto le pendici boscose del Monte Midia mentre un branco di cavalli bradi si accosta al vicino laghetto per l'abbeverata; qui il paesaggio muta lievemente: il terreno è ondulato e punteggiato di folte macchie di ginepro, verso est una sorta di piccolo canyon punta in direzione della spoglia spianata del Monte Padiglione. Si segue questa direzione, costeggiando il letto asciutto di un torrente improvvisato. In breve siamo ad un bivio, nei pressi di una croce in ferro battuto, proseguiamo diritti verso il Padiglione (da destra sbucheremo al ritorno).

Si cammina sul prato, mancano ormai tracce di sentiero, seguendo la naturale conformazione dei rilievi intorno; frattanto si notano le fioriture di croco bianco, non molto comune da queste parti; sulla destra salgono ripide distese brulle, coperte di bassi ginepri, a chiudere la vista verso i boschi del Monte Morbano.

La conca e il rifugio del Sasso Grosso

Per raggiungere il Sasso Grosso, dobbiamo valicare questi rilievi, scegliendo a senso il punto più opportuno; così procediamo superando, in linea d'aria, l'intaglio sulla cresta sinistra del Padiglione, il quale mette in comunicazione con Verrecchie, e ci portiamo quasi all'altezza della vetta. Sulla sinistra si intuisce una via che riporta verso il fondo della Valle della Dogana, proprio ai piedi della cima; noi cominciamo a salire sulla destra, cercando un passaggio naturale a mezza costa.

Giunti al passo, una piccola, stretta valletta si apre insospettata davanti a noi; stupiti notiamo come, osservando dalla cima del Padiglione, circa 400 metri più in alto, si ha una visione appiattita di tutta la vallata, non se ne comprende invece la complessa morfologia, fatta di piccole valli e canaloni, alternati a rilievi ripidi ma di modesta entità. 

Veduta sul Monte Velino

Sul fondo della valletta, proprio di fronte al punto da dove siamo sbucati, si innalza il curioso pinnacolo roccioso del Sasso Grosso - vicino è l'ennesimo rifugio - mentre un tranquillo torrentello scorre serpeggiando ai nostri piedi. Scendiamo in breve nella valletta, riportandoci su di una mulattiera polverosa; decidiamo per una sosta, godendoci il sole che ora splende deciso nel cielo, contemplando il lento scorrere del torrente.  Verso sinistra (sud - est) si potrebbe proseguire per il rifugio di Monte Morbano, oppure per Camporotondo, ma è già tanto che camminiamo, è ora di tornare sui nostri passi. Dopo un pranzo frugale, ed un debito riposo, riprendiamo dunque a destra, sulla strada bianca stretta a sinistra dal bosco e a destra dal torrente e dai rilievi da cui siamo scesi.

Risaliamo la forra fino al rifugio e alla fonte della spina, da cui l'acqua sgorga copiosa; curiosamente, muovendo ai margini del bosco, nei pressi del rifugio, si può notare un intaglio nella dorsale che si ha di fronte, il quale coincide con la sella che immette da Verrecchie sulla cresta del Padiglione, e offre una singolare prospettiva sul Monte Velino.

Continuiamo per la mulattiera che in breve piega verso destra e ci riporta alla corce in ferro che avevamo passato all'andata. Di qui il cammino è in leggera salita e la fatica comincia a farsi sentire nelle gambe. Ritorniamo a Pian del Pozzo e poi ancora su verso Acquaramata, i rospi ci salutano ancora al nostro passaggio ! Frattanto il tempo è peggiorato nuovamente, si è alzato un vento insidioso, che ci sferza e ci induce ad affrettare il passo, di colpo sembra tornare l'inverno. E' già ora di pensare ad una lauta cena, rapidamente risaliamo la sterrata e siamo alla macchina, finalmente al caldo.