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Monte Fontecellese (1623 m), da Pereto

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E’ una meta, il Fontecellese, raggiunta numerosissime volte, di relativo impegno come durata e fatica, utile per riempire ritagli di tempo e giornate noiose e per “presentare” ai novizi un assaggio del “prodotto” montagna. Da Roma necessita mediamente un’ora di macchina per raggiungere Carsoli (più precisamente Villa Romana) o Pereto, punti di partenza per un’escursione. Alcuni giorni orsono, trovandoci nella disponibilità d’animo per una passeggiata non pesante, abbiamo “ripiegato” ancora una volta su questa montagna e, durante la sua ascesa, l’osservazione di un paio di “sorprese” e il ripescaggio nella memoria di piacevolezze godute negli anni passati ci hanno fatto dare il giusto valore all’ambiente che, modesto nella elevazione, contiene tuttavia orizzonti diversi di diversa e variegata bellezza.

Lungo il cammino

Partenza comoda, verso le 10,30, da Pereto, da sotto la bellissima rocca che domina il paese e l’intera piana del Cavaliere. Il percorso si avvia, su breve tratto asfaltato in discesa, verso il vallone evidente che risale alle piane sottostanti il Fontecellese le cui coste sommitali si disegnano oblique, alte sullo sfondo. Dopo poche centinaia di metri un segnale giallorosso fa svoltare a destra indicando così il percorso da seguire. Il segno è evidente fin sotto il crestone finale dove poi si interseca, senza creare problemi, con un segno biancorosso.

Affrontiamo un primo passaggio su prati umidicci intralciati da rovi (cercare il segnale - anche più in alto – con pazienza) poi, superato un ombroso e fangoso fosso percorso da un silenzioso rivolo, approcciamo le prime macchie di bassi cerri, secolari ginestre coronate dai baccelli autunnali, arbusti vari. Emergono di tanto in tanto querce giganti infestate da piante parassite e aceri in meravigliosa decomposizione rossofuoco esplodente su una tela ingrigita dai toni della stagione crepuscolare. Il passo è leggero, saliamo senza strappi con un tiepido sole che filtra fra rami e costoni boscosi. Avvolti in un silenzio assoluto procediamo agevolmente nel vallone tenendoci alti su un profondo fosso (quello del rivolo), che scorre alla nostra destra. Solo il passo frusciato dei nostri piedi sul letto di foglie secche si avverte, non un rumore di animale, non le nostre parole.

I giganti del Fontecellese

Il luogo si è inselvatichito, è poco frequentato dagli allevatori che preferiscono arrivare ai pascoli alti per la sterrata che parte da sopra il paese. Meglio così. Stretti fra le cupe coste avvertiamo solo il sibilo di un vasto vento impetuoso sfrangiato dalla macchia ma rombante sulle altitudini. Osserviamo delicati ambienti nel passaggio fra le querce ed il faggio, tenui colori di autunno fra gli alberi spogli piantati su sottoboschi verdeggianti, la luce del sole, unico elemento a non essere spazzato dal vento, trapela agitando i colori come bandiere.

Attraversiamo il fosso al suo apice – o quasi – uscendo, in breve, dal folto della macchia avviandoci , superata la sterrata di servizio della condotta del gas metano (sigh! – pedaggi della civiltà!), verso i pascoli d’altura, fra macchie diradate di faggio e coste prative ricche di piante di ginepro. Ci alziamo più lentamente adesso, incrociamo un fontanile circondato da cavalli al pascolo, ci avvolge una dolce luce autunnale intrisa di sottile malinconia: saranno gli alberi spogli, il battere impietoso del vento che scompiglia le criniere dei cavalli e gli arbusti nudi o, forse,  la “coscienza” – diciamo così - della natura tutta, pessimista nella stagione del tramonto, lontana ancora dalla cruda ma vitale luce della rinascita invernale.

Panorama sul Monte Viglio

L’atmosfera è sospesa e noi stessi procediamo incerti turbati dall’impeto dell’aria, ma continuiamo se non altro per abitudine nonostante il fastidio dello scirocco. Fugge verso sud, in basso, un lungo e stretto vallone verde che arriva fino alle pendici del monte Midia sulle creste del quale spiccano i nuovi alberi, le antenne radiotelevisive, angosciose, minacciose. Lo sguardo s’espande su tutti i Carseolani, sui Simbruini, sugli Ernici e su tutte le catene minori prossime al Tirreno infoschito da basse polveri e umidità sciroccose.

Rare pratoline scosse dalle folate scaldano prati umidi, siamo verso i 1400 mslm, ci incuneiamo in un forte vento contrario, sventolano corti i nostri abiti e disegnano profili alla Boccioni. Poi una sorpresa…incredibile..mai immaginata: percossa e piegata fino a toccare il suolo una solitaria genziana utriculosa resiste all’intemperia con coraggio, uscita dal suo “guscio” assolutamente fuori stagione, colora con repentino lampo turchese prati ed animi. Una meraviglia (ne vedremo poi altre due o tre), ancora un regalo della montagna ai suoi amanti!

Genziana utriculosa

E la memoria allora corre al mese di aprile, a maggio, quando quelle coste, magari con le ultime nevi ancora sulle cime, si ammantano di erbe fresche, smeraldine, di narcisi, asfodeli, orchidee, primule maggiori, viole, nontiscorardime e cento altri fiori fra profumi di timo ed altre essenze mentre frementi crescono le iris, le genziane maggiori i gigli rossi che sbocceranno poco più tardi. Un miracolo botanico in quelle radure e sui pratoni d’altura, sotto i tiepidi ed inebrianti raggi solari rifratti in mille lame di luce dalle nevi dei vicini e maggiori gruppi montuosi.

Rendiamo così giustizia al Fontecellese, alle sue piane sommitali articolate in dolci, morbide elevazioni boscose, ai suoi faggi secolari, alla sua presenza “culturale” legata all’escursionismo della vicina città di Roma. Una volta un abitante di Villa Romana, la frazione di Carsoli sita sul versante occidentale, ci disse che il Fontecellese era, per lui, “la montagna più bella del mondo”! E qualche ragione poteva anche averla. Risaliamo rapidamente l’ultimo tratto roccioso e, appena sotto la cima, sul versante opposto, riparati dal vento, consumiamo il rito del pasto. Davanti noi, fra gli alti rami degli ultimi faggi e degli aceri di montagna, intravediamo il crudo, autunnale orizzonte montano abruzzese, privo di colori ma stampato a sbalzo sullo sfondo ceruleo, contratto nella morsa del vento, impassibile ! Rapida discesa sotto una luce che sfuma progressiva verso toni più caldi, assorbita poi dalle sabbiose ed opache foschie di pianura. Sembra infiammarsi il sole calando sopra i monti Lucretili dietro i quali andrà ad immergersi spegnendo lo sguardo del mondo.