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Il Monte Ginepro da Rendinara

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Ogni volta che salendo da Rendinara per andare verso Pizzo Deta ci si parava di fronte il Vallone del Rio, ci incuriosiva    capire se era  possibile arrivare al Ginepro, i cui contrafforti sormontati da una croce spiccavano alti sulla destra, superando il “muro” apparentemente impraticabile di rocce ed alberi posto ai suoi piedi. Incassati valloni e profondi brecciai  tagliavano perpendicolari la tormentata costa della quale inquietava la complessa ripidità. Ed ogni volta, davanti alla fonte Pretestrette (dopo 10 minuti di marcia circa) , ci riassaliva l’idea nel vedere partire una chiara traccia che attraversava il fondo valle e si dirigeva decisa sotto quel muro. Accadde poi che, consultando una cartina IGM del luogo, notammo segnato un sentiero che era l’appagamento della nostra curiosità; chiedemmo nel paese notizie più precise ma ottenemmo vaghe risposte: se ne era persa quasi la memoria! La via da tempo abbandonata, prima del bosco era oramai sepolta dalle erbe! Stabilimmo allora di provare da soli a rinvenire il passaggio sfruttando i pochi dati di cui disponevamo.

La valle del Rio: in alto a destra il Ginepro

Così un giorno di fine giugno cominciammo a cercare muovendoci fra basse macchie e ripidi prati, infilandoci  in situazioni precarie, risalendo pietrami mobili fin sotto salti di rocce verticali alla ricerca di un segno concreto, di una via d’ingresso al sentiero visto sulla carta. Dopo quasi tre ore giudicammo impossibile venire a capo della cosa e stanchi, con l’animo disposto alla rinuncia, iniziammo a scendere cercando piani meno esposti. Fu un’enorme fatica nella afosa giornata: tagliare profondi spessori di foglie secche su ripidissimi pendii ci costava molto, sovente ci dovevamo aiutare con le mani !

E in quella condizione non potevamo apprezzare la bellezza aspra del luogo mitigata dalla varietà dei fiori selvaggi e da profumate erbe montane. Volevamo finirla subito e tenendoci a vista camminavamo con rabbia, delusi quando, scavalcata un processione trasversale di grossi sassi, ci accorgemmo d’aver messo piede sul segno chiarissimo di un tratturo ! Esultammo, decidemmo di non  salire più per l’ora  tarda,  per la stanchezza e nella speranza di avere più facilmente in discesa una conferma del tracciato e del punto d’imbocco nel bosco. La cosa riuscì con nostra soddisfazione. Stabilimmo di tornare il sabato successivo, la curiosità ci divorava oltre misura nell’attesa del nuovo appuntamento per la certa scoperta di quell’antico passo che ci sembrava dovesse transitare per luoghi chissà quanto misteriosi verso inimmaginabili ritrovamenti. 

Le creste degli Ernici dal Viglio

Tornammo due settimane dopo, di mattina presto cominciammo a risalire il costone partendo dal fontanile. L’ora era fresca ma il debole respiro della chiusa valle rendeva l’aria afosa. Mezz’ora dopo, spiluccate fragole sepolte in folti erbai, entrammo in un bosco di cerri dove con sorpresa notammo vecchi segnali però contrastanti. Sfruttando l’esperienza fatta superammo in diagonale destra la macchia entrando in una radura di sassi, erbe, rovi e ginepri e, negandoci ad un evidente segno che indicava ancora la destra, volgemmo a manca tagliando un prato obliquo e rientrando nel fitto verso l’angolo opposto.

La bassa macchia ci era di impedimento ma ricordammo di dover risalire a sinistra un canalino erboso al limite della vegetazione per arrivare ad una selletta dalla quale scoprimmo, magico, il Vallone del Rio tremolante nella luce solare rifratta dall’umida calura! 

Il Pizzo Deta e il Pratillo in alto sul vallone

Lunghi sfilavano sulla destra il bastione del Ginepro e la ripida spalla del Passeggio, alla convergenza alta della valle il trionfo del Pratillo e di Pizzo Deta. Dopo un sorso d’acqua, un labile calpestio sulle erbe ci portò in un bosco dove il tracciato divenne evidente e, superato un faticoso imbuto infuocato d’aria stagnante, conquistammo un crinalino intercettando folate di frescura. Rinfrancati ritrovammo il punto di “scoperta” , fiduciosi proseguimmo il cammino. Sull’esile ma certo crinale il passo lasciava a destra cupi costoni, a sinistra, tra le foglie, l’assolato Vallone precipitato da boschi vertiginosi e sospesi roccioni.

Il viottolo talvolta intralciato da massi e rami spezzati, saliva chiaro superando coltri di foglie o costeggiando falesie di compatto calcare sormontate da ripide radure. A volte era visibile la mano dell’uomo per i massi a sostegno di tornanti altrimenti franosi. Camminavano in silenzio, sicuri, filtravano lame di sole, la penombra smorzava furtivi fruscii. Perso ogni segnale la via si snodava mai tradendo le attese, scoprendo balzi sempre più abissali. Dopo pochi metri di stretto cammino su un nudo, profondo e inclinatissimo valloncello franoso (attenzione alla tenuta del fondo adesso), oltre complicati tornanti invasi da sfasciumi vegetali ed una lunga diagonale sinistra, toccammo una terrazza di rocce protesa sulla valle, a picco su verdi muraglie, dentro una sequenza ininterrotta di emozionanti strapiombi. Uno sbuffo di vento fresco temperò la fatica e la vertigine che provammo pervenendo di colpo in quella aerea posizione. Poi la macchia si fece bassa, tormentata, faggi inestricabili su ortiche e lamponi intralciavano il cammino sempre però evidente.

Giglio martagone

Giungemmo in una conca umida all’interno della costa sotto pinnacoli rocciosi in un mare di cupo verde pennellato dal giallo di ranuncoli ed arniche. Nel pietrame ossa di animali chissà quando uccisi da cadute o dalle difficoltà del luogo. Il suggestivo ambiente ombreggiato dalle rocce, rimontava a sinistra un pendio inumidito da una polla perduta fino ad una verdissima sella che apriva, simmetrico, un forte contropendio popolato da gigli martagoni e a sinistra, oltre un’agevole barriera di pietre, una fantastica terrazza lanciata nel vuoto che non visitammo sull’esterno per timore, vissuta ancora da martagoni, genziane, rose canine blu, cardi, erbe d’altura, profumato timo, arbusti: un prezioso, recondito giardino !

Ci pervase una sensazione di inquietante lievità, l’impressione del volo! E come da un oblò, laggiù, nell’abisso, il Vallone del Rio, Rendinara, la valle del Liri e, in profondità, tutto l’Abruzzo appenninico. Con la nostra ostinazione avevamo colto segreti penetrando per luoghi dove i silenzi, la solitudine, il ritorno di condizioni naturali e il timore verso una montagna molto aspra ma non repulsiva rinnovarono emozioni perdute. Il primitivo ambiente di questi Ernici che da Pizzo Deta, al Passeggio e al Ginepro coronano con la costa della Rava della Guardia il profondo, glaciale, interminabile Vallone del Rio ci aveva stregato !

Il valico del Brecciaro

Ripartimmo e superati gli ultimi faggi, entrammo nell’emiciclo sotto la visibile anticima nordest del Ginepro che raggiungemmo lungo le coste erbose della parte sommitale adagiata su un pendio risucchiato in basso nel vuoto. Nello spianare sotto la croce, la sorpresa sgradita di un catino d’acqua imputridito da animali transumanti saliti da valli esterne. Sul filo precipite interno in breve pervenimmo al Ginepro. Spuntavano le rossicce piante dei “semprevivi”, un turbinio di venti spazzava l’umida foschia scolpendo su lontani azzurri cieli il calcare ondeggiante delle vette d’Abruzzo. 

Sotto di noi, pareti strapiombanti in un catino di rocce moreniche ed  alte erbe alla base del valico di Monte Brecciaro. Proseguimmo per il crinale opposto degradando verso il valico che scendemmo non prima di una diversione sul Passeggio, l’apice del Gruppo (2064 m). Vedemmo vicino Pizzo Deta (2041m – detto il Cervino dei poveri) e i  suoi vertiginosi salti nord sopra il faticoso, splendido vallone di Peschiomacello, le piane del Lazio verso gli Ausoni e gli Aurunci, il Vallone del Rio e la sua  lunga e sepolta morena e i vasti sfasciumi di rocce “tritate” dal gelo rotolanti dalle erte dei monti.

Sotto la vetta del Ginepro

Vasti  circhi glaciali sorgevano sotto le pareti nord del Pratillo. Dal valico un arido sentiero ci portò nell’invaso ai piedi del Ginepro in un ambiente di pietre, erbe e faggi, intatto, solitario, privo di segni umani, l’incavo di una mano divina protesa verso il cielo. 

Muti chiudemmo nel cuore quel silenzio assoluto, quel luogo senza tempo ! Ci gettammo nel bosco di fosso Fracasse e per incerte e solitarie tracce ritrovammo la valle che per una vecchia sterrata ci avrebbe ricondotto a Rendinara.Fasci di luce accecante sgusciavano tra le vette accendendo d’ambra le penombre della valle e sulle nostre spalle affaticate  imprimevano una bruciante, insopportabile spinta. All’arrivo una turba ringhiosa di cani da pastore ci costrinse fulminei dentro le macchine. Fiammeggiava l’oriente e vestiva di rame i bastioni del Viglio e della Serra Lunga.

Sullo sfondo gli slanci dorati del Velino, possente, sereno sulle ansie della nostra vita! Veloci sibilavamo sull’asfalto, qualcuno dormiva, sui bagliori morenti dell’occaso risaliva Venere splendente.

NOTE:

Il racconto riguarda un'escursione compiuta alcuni anni orsono. Di recente siamo tornati a verificare lo stato delle cose, risultate di massima immutate salvo, finalmente, l'apposizione di segnali giallo-rossi seppure radi e quindi da ricercare con attenzione. I segnali accompagnano fino alla croce, si interrompono sulle creste e riprendono dal valico di Monte Brecciaro. Da notare, in negativo, il ripristino della sterrata, che speriamo non porti danni ad un ambiente quasi unico per la sua integrità.