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Monte Jenca (2208 m), da Assergi

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Anche questa camminata è cominciata la domenica prima. Tre disperati, in crisi di astinenza, pestano lungo una sterrata. Pesta e ripesta, arrivano al belvedere, che sul bello si può discutere ma vedere non è di certo: un po' di prato, poi 'il mondo è grigioooo...' (la canzone finisce qui). Inutile proseguire in mezzo alla nebbia, la sgambata è fatta. Incontrano tre magi, iscritti al Cai dell'Aquila, che danno il responso. Così la giornata, che poteva finire, a dirla con somma ineleganza, in vacca, finisce in pecora (pecora della Laga: in ragù, seduce anche il più refrattario dei commensali).

Salendo al belvedere

La domenica dopo, però, torniamo. Uscita ad Assergi, direzione Capannelle. Scartiamo direttissime lungo la muraglia erbosa che parte dal Cefalone, poi la sterrata che porta al piano di Camarda (tutta una tirata faccia a monte), più avanti fino alla carrareccia che conduce alla sorgente di San Franco. Stop all'auto, go a piedi. La giornata è splendida, la comitiva è pigra. Anzi, a dir meglio, somiglia a un quadro dell'ottocento con i soldati delle guerre d'indipendenza, uno che zoppica di qua e un piedone fasciato di lì, uno affaticato dalla pecora della domenica precedente, solo le dame arzille e giulive. Direzione Passo del Belvedere, poi 'addò arrivo, arrivo', basta guardare e andare.

La salita lungo la sterrata è piacevole, l'aria dolce, le mucche placide punteggiano i pendii del prato. La conca dell'Aquila è un po' nebbiosa e sembra un lago bianco, a ovest stacca il triangolo del Velino. Le bacche di rosa canina ristorano il salitore. Si costeggia il Fosso Pietra di Salomone, segnato da sentierini misteriosi (nascono dal nulla e finiscono), resti di millenarie frequentazioni. Più su l'erba è più verde, a una curva della strada scende un ruscelletto magro. è l'acqua santa del santo eremita, che ogni piaga fa guarita (se ci aggiungi una dormita).

Monte Corvo

Il mitico San Franco (+1220-1230 ca.), eremita mezzo alpinista, che da queste parti bazzicò per sfuggire alle noie della vita di convento. E forse incontrò l'orsa miracolosa, che gli mostrò un favo da cui attingere il miele (e non è difficile crederci).

Si mostra rotando lento in alto il maestoso avvoltoio: niente da fare, dove c'è il pensionato, non manca mai. Ancora quattro passi e, dopo un'oretta e un quarto, siamo al Passo. Stavolta è proprio belvedere, sotto di noi il primo tratto tutto boscoso della Val Chiarino, il laghetto Provvidenza laggiù, piccolo piccolo.

Lago di Campotosto

E poi alzando lo sguardo, l'ampia cresta di Rotigliano e quel ramo del lago di Campotosto che volge a occidente, con il borgo di Mascioni. E di fronte i monti della Laga, con il Gorzano e il suo infinito spallone che sovrasta il Vallone delle Cento Fonti, la cima avvolta in una nuvoletta grigio-azzurrina. Dietro occhieggia il Vettore. In fondo al Vomano la montagna di Campli. A destra parte la grande dorsale del Corvo. Tra i punti panoramici più cash di tutto l'Appennino, alla portata di tutte le zampe, con 400 metri di dislivello te la cavi.

E' da poco mezzogiorno, a sud la grande costa erbosa dello Ienca: la famiglia dei gobbòn. Si va.

In vetta allo Jenca

Prima appettata su pratone. La terra è soffice, cotta dal sole e dal gelo, impastata dai composti azotati che mucche e cavalli generosamente spandono, in morbida pelliccia verde. Un sogno per l'ortolano dei monti Prenestini: se continua l'effetto serra, verrà qui a piantare i pomodori (così, oltre al san Marzano, ci sarà il pomodoro san Franco).

E primo scollinamento. Ricordo di anni fa (cinque? dieci?): passammo di qui col colonnello, diretti al Camarda, sotto un cielo velato, un branchetto di starne continuò a razzolare tenendoci a distanza, senza fuggire.

Panorama sui Corni

E si scoprono i big. L'orlo innevato della cresta del Corvo, l'Intermesoli di sguincio e il Corno, dorati dal sole e spolverati di bianco. Sulla sinistra il sentiero piano che porta al Camarda aggirando le gobbe. A nord, compare anche quel ramo del lago di Campotosto che volge all'amatriciana. Il lago ora è solo azzurro.

La seconda gobba porta oltre i duemila. Più tosta, ma basta farsi guidare dal respiro. L'aria è strana, folate di vento caldiccio da sud e mani gelate che reclamano i guanti. La terza gobba si potrebbe aggirare dal lato est. Non è sportivo. Si sale, si scende e poi la breve spalla che porta allo Ienca. La vista spazia, l'azzurro speziato dal marrone dell'autunno contrasta con le cime dorate dal sole e orlate di neve.

Monte San Franco

La discesa ti porta, e bisogna lasciarsi andare al tappeto erboso che tira verso il basso. Al Passo incontriamo il pastore jeeppato:

- Avete visto un torello?

- Qui neanche l'ombra. Forse nei ristoranti della zona. Sennò, senza malaugurio, se l'avvoltoio gira, avrà qualche motivo.

Decliniamo il passaggio auto, appuntamento a valle. Passiamo a salutarlo allo stazzo, simpatica storia di lapidi e ricordi, cucciolotti burrosi e accattivanti, vinello bianco e ottimo cacio pecocaprino. Un domani qualche altro test ci dirà se è vera gastronomia di montagna.