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Monte Prena (2561 m), per la Fonte del Peschio ed il Valico di Malanotte

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


E' da tempo che volevamo raccontarvi questa escursione e adesso che lo facciamo è il periodo meno indicato per compierla trattandosi di percorso, seppur in buona parte segnato, molto ripido, di notevole dislivello quindi faticoso ed esposto tutto a nord, isolatissimo, ricco d'acqua nella parte subito dopo la fonte del Peschio e per tutto questo particolarmente soggetto alle difficoltà che fin dall'autunno possono subitaneamente verificarsi. Certo si può anche provare in periodi diversi da quello della tarda estate, che consigliamo, ma deve essere tempo sicuro e stabile e attenzione al ghiaccio e alla neve soprattutto quando si scioglie, circostanze che possono creare notevoli difficoltà da affrontare solo avendo più che adeguata esperienza e preparazione.

Veduta sul Corno Grande

Fatto il cappello, necessario, vi diciamo che, secondo noi, questo è fra i più bei percorsi che conosciamo e se fatto nel momento più opportuno, può essere affrontato, nonostante il dislivello e la ripidità, da ogni escursionista ben temprato, che lungo il percorso ci si può abbondantemente rifornire di acqua oltre quota 1500 metri e, in caso di stagione particolarmente nevosa e fredda, anche fin verso quota 2000 metri.Questa è una delle particolarità dell'escursione, quasi unica nell'Appennino, Laga esclusa, generalmente arido e bruciato nella tarda estate. Dunque, una volta superate Isola del Gran Sasso e Pretara, procedendo verso il lago di Pagliara, tralasciata la curva stretta che a destra porta verso il vallone del Ruzzo e all'attacco del sentiero per il santuario di S.Colomba, bisogna procedere fino ad un secondo bivio a destra, segnato da una barra di ferro, oltre la quale inizia il cammino.

La prima parte del viaggio è sull'asfalto per alcune centinaia di metri fino a che, molto evidentemente, a sinistra appare una sterrata di servizio dei pascoli d'altura (scarsi ormai) e per la fonte del Peschio. È quella la via, un bosco fitto e largo alla base, su pendii abbastanza dolci che impennano poi ripidissimi risalendo per larghe comode svolte. Mai la sterrata s'inarca con violenza seppur taglia, prendendo quota, fianchi sempre più erti e brevi burroni. Il passo è comodo, profondi i pendii nell' infinito perso della foresta, a volte traversano la sterrata lunghe ferite che tagliano verticali quegli impressionanti boscosi e silenziosi declivi, ferite inferte da valanghe di pietre e neve, piste di macchia sconvolta, senza fine, aperte dalla forza della natura, che evocano boati e squassi assordanti al momento del disgelo. Il grosso sentiero è curato, riaperto dopo la primavera; laggiù, oltre lo smeraldeggiare mosso del fogliame, la fitta tessitura dei terreni che a mosaico ammantano la piana.

Lungo il sentiero

Salita agevole, sfonda di colpo il bosco, acceso di grigi superbi, il Gran Sasso che sferza la potenza del paretone e delle spalle abissali nord orientali sul tenero celeste della fresca mattina. Questa prima parte del percorso è tutta in ombra, poco più di un'ora di marcia rapida, uno sforzo finale poi lo sfarzo del verde appeso, le pareti nude che portano alla Cimetta (quasi 2300metri) mantate d'erba, scalettate come un tempio azteco, minacciose nella quasi verticalità, bestie al pascolo sembrano precipitare, la fonte del Peschio su un ampio gradone.

Un getto impetuoso d'acqua quasi gelata, una manna! Rombi di torrenti precipitanti. Siamo nella forza della montagna, lo sguardo si espande fino al mare, luci nell'anima, accende vaghe inquietudini il pensiero per il dopo la fonte, al passo lungo quelle balze così profonde, così inclinate. Ma il sentiero c'è, segnato, evidente, attraversa un primo piccolo vallone percorso da un rivolo che salta breve dai nostri piedi, anima nello scendere una nidiata di arniche dorate, si dirige verso il vertiginoso imbuto di Fossaceca cedendo di colpo ad un balzo di rocce. Ci guardano Teramo e la montagna dei Fiori, il tratturo supera rapido una breve impennata, fra rade piante il pendio trova l'abisso sulla destra fra arbusti appesi e intimoriti, costringe all'attenzione, raggiunge una piccola sella, curva a sinistra, scende, intralcia un faggio crollato da anni ma vivo, scende ancora ripido su infide breccioline, stringe sotto pareti verticali grondanti di d'acqua, attraversa un viscido pietrame su pendio ora meno irto, spiana brevemente in una fosca intensa verdosità gonfia di terre fradice, risale per la sinistra e diventa di colpo un sentiero liquido!

Peonia officinalis

Una sorpresa emozionante la prima volta nel passare su quel tracciato, rivoli che dalle pareti perpendicolari scendono frusciando rumorosi fra arbusti ed erbaggi cupi, inondano il sentiero rendendolo subdolo, cadono quasi sulle nostre teste, sciacquettano gli scarponi rigonfi d'acqua, una sensazione di ansiosa emozione su quei passi "umidi" sopra salti di rocce che richiamano una grande concentrazione. Il sentiero, una comoda cengia, è di per se agevole e con cautela si supera senza rischi ma è inevitabile l'impatto emotivo, rara tanta acqua sull'Appennino poi così vissuta, così coinvolgente! Risale ancora per la destra il cammino, esce dopo alcuni minuti dalla sfilata delle piccole cascate fino a salire su un ampio gradino che precipita vertiginoso sulla destra nella Fossaceca e, dal colmo del quale, come per incanto, pare aprirsi il mistero della montagna che rivela il suo ventre segreto, aspro come ogni promessa immatura, dolce per la speranza di bellezza. Quasi che un' immensa volontà, in quel luogo, abbia voluto sollevare due immani lembi di roccia per donare alla vista degli uomini i profondi umori della terra.

Siamo alle viste del colle di Malanotte, a 1400metri circa ancora, una piccola dorsale maledettamente impiccata che risale il centro di quell'immane, incredibile colossale taglio della montagna chiuso fra le spettacolari coste della Cimetta a sinistra (2266m) e del Cimone a destra (1912m). La dorsalina cammina fra due fossi e, soprattutto quello di destra (orografica) è una profonda incisione nelle rocce bianche tagliate dallo scorrimento delle acque, "graffiate" dal movimento del ghiaccio, nel quale piombano le pareti della Cimetta. C'è da immaginare che queste fenditure dove scorrono vorticosi i torrenti delle grandi piogge autunnali oppure nati dai grandi pianori sottostanti il Prena e l'Infornace alla fusione primaverile, siano teatro, insieme all'intero vallone, di un inferno d'acqua rombante come in inverno, la neve e i ghiacci scintillanti, creino la sensazione di essere nel cuore di un grande iceberg, insomma uno spettacolo da figurarsi come unico e di rara bellezza. E la primavera e l'inizio dell'estate, forzata però la barriera della cascatelle la cui portata in quei momenti potrebbe costituire un problema, dovrebbero sfolgorare di incredibili verdi, di straordinarie, preziose fioriture e di torrenti di pure acque. Quasi un Eden appenninico. L'occhio scruta il sentiero che sale, già si stanca al solo vederlo, lo segue arrancando alla ricerca di una lontana traccia, riposa quando spiana sotto le creste merlate dell'Informace, delle Torri di Casanova e delle coste est del Prena, un'inverosimile straordinaria corona di picchi di roccia trapunti a merletto, sfrangiati da sfavillanti lame di un luminosissimo sole e sparate a raggiera d'oro nell'infinito turchese della volta.

Cascatelle

Noi quaggiù, così lontani, così in basso così nani fulminati! Le parole non riusciranno mai a rendere le sensazioni provate dal vivo, quello scrigno colmo di gemme è quasi impensabile quando, dopo il tunnel di Assergi, dall'autostrada, appare la grande la barriera del gruppo montuoso distesa nel versante nord dal Corno Grande al monte Camicia. Tuttavia, ad una sguardo attento, non possono sfuggire le profonde incisioni che scendono dai fianchi del Brancastello e dal vado di Piaverano l'una e quella ancora più cupa che scende tra le coste dell'Infornace e quelle del Prena, tra la Cimetta e il Cimone e inghiottita dall'abissale vallone di Fossaceca, tributario principe dell'acquedotto del Rozzo. Ma andiamo avanti, il fiato serve in salita. Dunque, sopravvissuti alla fulminazione riprendiamo il viaggio intimoriti un po' dalla fatica che ci attendeva, ma curiosi, ansiosi di vedere. Il percorso varca l'immensa porta fiancheggiando un profondo salto per una lunga cengia pianeggiante, taglia un brecciao alla base del quale sembra vedersi un lungo nevaio coperto di terra (a fine agosto a quella quota sembra impossibile, ma è lì, visibile tutte le volte che si transita per quel luogo - non esiste sull'Appennino, salvo errore, un nevaio ad una quota che è intorno ai 1400m), dal quale sgorga un flotto d'acqua che defluisce verso la Fossaceca.

Un breve erbaio, minuto il passaggio scende verso destra ed entra nello scroscio leggero di un fosso percorso da un'acqua cristallina. Una meraviglia fresca che rinfranca la mente al pensiero del ritorno, ne facciamo abbondante riserva. Nel riprendere il cammino, sopra il torrente saltellante fra enormi massi, all'interno di un'ampia cavità del terreno, la meraviglia di un imponente nevaio ghiaccio, un enorme bisonte di cristallo screziato di terre nere sotto il quale fiorisce solitaria, fresca, una magnifica fiammante peonia, incredibile in quel periodo, ma in tutto il vallone, per il freddo che lo caratterizza e forse in quella particolare stagione, era evidente il ritardo di ogni fioritura. Ora la dorsale incombe sul sentiero, un enorme gobba di infidi terrricci ed erbe alte si alza di colpo e si frappone al passo, il sentiero è segnato, incerto su quella ripidità sfiancante, segnato ma non inciso (se lo fosse in quel punto, la grande fatica del percorso sarebbe fortemente alleviata).

Sotto i torrioni del Prena

Fiato e gambe e pazienza servono a muoversi su un tracciato così faticoso, il passo è lento, si muove fra piatte rocce, terre secche ed erbe folte che spesso nascondo mobili pietre, piccole trappole per le caviglie. Zigzaga il tratturo, fruscia sempre più sepolto da erbe forti e scure ( attenzione ai segni spesso introvabili per evitare inutili fatiche), chi è più in alto sembra stia su una scala a pioli, il respiro tracima il cuore, sale ancora lento ma senza rischi, il colmo di quel gobbone sembra sempre lontano, in quegli attimi il grande sforzo espugna il piacere estetico. Poi, gradatamente, il fondo addolcisce fino a planare su un primo breve gradino. Un sollievo fra uno sfolgorio di arniche e garofanini, cardi dagli occhi violetti ...qualche tenera stella alpina! Ritroviamo la ragione dell'essere in quel posto.

Torna a salire il sentiero, è meno dannato ora, spiana di nuovo, sembra che lenti precipitino verso noi i colossi della Cimetta e del Cimone, un silenzio sonoro rimbalza su quelle vibranti pareti di contorti sedimenti calcareii, un immenso auditorio, siamo nel cavo del paradiso, un mormorio di torrente verso sinistra, oltre un piccolo rilievo, un altro nevaio spilla il divino liquido! L'aria è cristallina, lucente, il sole strappa alla sorgente pulviscoli d'oro, una brevissima felice sosta ai box, carichiamo carburante preziosissimo, la strada è ancora lunga e impegnativa. Ora la dorsale comincia ad inaridirsi, lascia a destra un ultimo nevaio anch'esso interrato, sale con salti agevoli di roccia e ripide lingue di bianche breccette, una dannazione a scendere. I segni ora sono evidenti, il tracciato entra in un mondo algido di terricci grigi e polverosi e di pietre levigate, forti le poche erbe colorate da perplesse fioriture, il monte snuda le candide ossa della struttura d'altura dilavate dalla neve e dal ghiaccio, ossa contorte, disposte in caotiche forme, in continua frantumazione.

Sotto la vetta

Rimbalzano da quelle pietre lucide brucianti raggi solari. Ancora un breve respiro mentre, verso quota 2000m il passo varca per la sinistra il fosso e percorre esili tracce incise in umide terre salendo verso la spianata di sostegno delle vette dell'Infornace, delle torri di Casanova e del Prena. Pesa lo sforzo, salendo lo sguardo abbraccia voluttuoso l'intero vallone, una disperazione piena di emozioni per i muscoli e per il cuore alla fine sublimata dall'intenso sapore di quel magnifico, straordinario luogo. Spianiamo definitivamente all'altezza della vetta della Cimetta a 2267m, è il mondo della luna, i merletti sono sopra noi, bizzarre creazioni fantastiche, trascendenti quasi nella leggera eleganza, il filo danza lieve sulle creste, affonda incidendo il biancore delle pietre, risale rapido ed ardito sulle cime e sui tanti frastagli, trafora, ricama, c'è una sensazione di trasparente fragilità in quella creazione divina, in quel fantasmagorico tessuto di rocce luminose galleggiante nella vana azzurrità..

Riprende il passo, dopo un imbuto pietroso, una lunga spianata verso la base del Prena fatta di letti di asciutte fiumare e dossi di erbe dure, pastose nervature di rocce giallastre e nere calano oblique verso il sentiero che procede in saliscendi, ben segnato, comodo. Morde il sole arroventato dalla calcina pietrosa , la fatica si sente, la volontà è ferma. A sinistra, la sul fondo, le lontane colline di Teramo baciate alla costa da un mare pastello, labili scie, ombre di vele, un tessuto prezioso di cime a destra fiorisce sull'alta dorsale così scorre il sentiero sul largo ripiano fra tappeti di stelle appenniniche mosse da ventosi brusii, risale aggirando un ultima asperità, plana ancora e veloce e deciso s'avvia verso l'ultimo arrabbiato balzo. Da quota 2300circa, dopo 5 ore di marcia, sotto la vetta del Prena, l'affaccio verso il vado di Ferruccio prende d'infilata est il filo di cresta e la potenza dell'impressionante Camicia,uno dei simboli dell'Italia del Corpo degli Alpini, un grigio immane fantasma di polveri aride e rocce, una caduta di potenti pilastri verso nord di spaventosa verticale abissalità che nella parte massima salta per ben 1200 m! Sull'altro versante, il sud, la vastità di Campo Imperatore, doline e dossi a perdita d'occhio verso la valle dei Peligni.

Veduta sul Monte Camicia

Lunga sosta stretti nell'ombra di un grande masso, cibo leggero ed acqua a volontà che ne abbiamo a sufficienza, con disagio osserviamo gli ultimi metri di dislivello (250 circa), il tracciato all'inizio è abbastanza agevole ma all'impennarsi si sbreccia sconvolto dal passo dei tanti escursionisti che vanno in vetta provenendo quasi esclusivamente da Campo Imperatore. Un disagio ed una fatica che non ci volevano dopo tanto penare! Il fondo del terreno è franoso è vero ma il Cai di zona dovrebbe gestirlo meglio quel tratto! Comunque il tratturo sale rapido nel primo tratto, poi comincia a cedere il terreno sotto i piedi, un passo avanti e due dietro, fulmini contro quel dannato vigliacco pietrame che sbilancia pericolosamente e contro i piccoli muri di roccia fissa che costringono a brevi arrampicate, uno spiazzo lancia ancora lo sguardo sul Camicia, passaggi su risicati scalini trasversali "impestati" di pietrisco traditore, intralcio fra chi scende e chi sale, grondanti di sudore, impolverati, bruciati da sole e fatica, in quella brutalità ancora una volta sembra perduta ogni idea di bellezza ma nessuno molla, ancora più su, la vetta è un miraggio, un ultimo sforzo, uno scatto rabbioso poi, finalmente usciti dal largo canale, lasciati sulla destra aguzzi sfasciumi traballanti sopra cilindriche torri di roccia, picchi irreali contorti miracolosamente svettanti, la labile traccia tocca una sella, sui volti sformati dallo sforzo fiorisce un sorriso è la vetta! (6 ore)

A est tutte le cime della catena orientale con il Camicia in primo piano, a ovest il Corno Grande e i suoi apici, buona parte dell'Appennino Centrale è sotto i nostri occhi. Una bassa foschia vela le catene lontane, il peso della fatica sostenuta vela per pochi attimi le nostre coscienze che cadono in un breve rigenerante sonno. Nell'improvviso ridestarsi ad un repentino soffio di freddo aleggia un angoscioso senso di vuoto, di disancorata leggerezza ma la mano divina del Prena sostiene sicura il suo snello ed aereo apice e fuga rapida il piccolo smarrimento.

In vetta

La prima parte della discesa dalla cima è "spigolosa", ma è tardi e non sono ammessi indugi o soste, l'approdo alla base del Prena è rapido, rapido anche il passo fino all'affaccio sul vallone e poi ancora giù ad impegnare l'infida parte alta del colle di Malanotte, scortica la pelle il sole del primo pomeriggio, torna la fatica, i muscoli delle gambe in frenata stridono di sofferenza, s'abbassa la quota non il morso del sole che tramonta però di colpo dietro le coste del Cimone, nell'ombra refrigerante il sentiero conduce a monte di quel maledettissimo mammellone, durissimo la mattina al momento della salita, micidiale, infernale ora nella discesa. Dopo tante ore di viaggio la fatica delle gambe è quasi insopportabile nell'affrontare quel sentiero inghiottito dal ripido e da erbe dure, fettuccie di verde tagliente grasso e viscido, su sassi invisibili spesso traballanti, solo il passo lento e cauto evita rovinose cadute ma la sofferenza dei muscoli, seppure abituati ad impegnative escursioni e continuamente lubrificati da lunghe sorsate di acqua, è feroce. Al fosso ancora un ristoro, un ultimo sguardo ammirato alla miracolosa peonia, ora il sentiero riappare veloce, torna a tagliare agile la colata di breccia alla base del colle di Malanotte e all'origine della Fossaceca, supera la cengia esposta, un ultimo sguardo al ventre della terra, cala rapido e attraversa le cascatelle , aggira la base della Cimetta e approda finalmente alla fonte del Peschio dopo ben oltre oltre 3 ore di marcia. In quella trasparente ambra del tardo pomeriggio, seduti sul bordo del fontanile, consumate le residue scorte di viveri, l'intimo rapito centellina l'ultimo sorso di quella grandiosità, poi il passo e lo scuro del bosco ne inghiottono l'immagine.

Dopo 5 ore termina il viaggio di ritorno ma la mente instancabile continua a marciare e ripercorre le meraviglie di quel dannatissimo, fantastico viaggio al centro della montagna!