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La Meta (2242 m), da Pizzone

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La partenza alle sei in punto e la prospettiva di un viaggio in auto di tre ore nette aveva scoraggiato molti dal partecipare all'avventura, eppure il paesaggio incantevole che, dal Passo del Diavolo sino ai bastioni delle Mainarde, si era svelato ai nostri occhi non ci aveva fatto pentire della decisione presa.

La Meta all'uscita dal bosco

All'ingresso del pianoro de Le Forme, il cartello indicante l'inizio della provincia di Isernia ci dava un'idea della quantità di strada che avevamo percorso, passando via via le sorgenti del Sangro, le rocce della Camosciara, il lago di Barrea e le incantevoli faggete tra Alfedena e Pizzone.

Il sentiero M1 del parco parte proprio in vista delle rocce svettanti della Meta, affrontando subito la piacevole faggeta della Valle Pagana. L'aria è fresca ed il passo è allietato dallo scorrere di piccoli torrentelli, vera rarità per l'Appennino. Saliamo a larghe svolte,fra faggi vetusti e grossi massi erratici, guadagnando velocemente - e piacevolmente - quota.

Veduta sulle Mainarde

Dopo circa un'ora di cammino abbiamo già raggiunto il limite superiore della vegetazione, immettendoci in una valletta sassosa letteralmente invasa dalle tipiche fioriture estive: genziana lutea, trifoglio, cardo, raponzolo e semprevivo. A destra, il Monte Miele chiude la valletta con pendii erbosi di un verde intensissimo, nascondendo alla vista l'ampia depressione del pianoro dei Biscurri, che si apre al di là.

Risaliti alcuni gradini, la Valle Pagana si apre ad abbracciare uno spettacolo grandioso: sulla sinistra la cresta delle Mainarde sorretta da potenti bastioni rocciosi, orlati alla base dalla foresta, mentre davanti a noi si erge poderosa la mole della Meta, una vera piramide di roccia che sembra emergere dal verde dei prati. Vista da qui la vetta vera e propria risulta preceduta da uno sperone poderoso, che al momento sembra completamente staccato dal resto della montagna, come un campanile dolomitico. Più avanti raggiungiamo una piccola risorgenza, nella forma di piccole polle d'acqua freschissima, intorno alla quale trillano insistenti i grilli, sovrastati a tratti dal fischio dei fringuelli.

Fioriture lungo la salita alla vetta

Di fronte a noi è l'ampia sella del Passo dei Monaci, evidenziata da un grosso dente roccioso; man mano che saliamo le fioriture si arricchiscono di cerastio, timo e nepetella, mentre sotto le rocce, nei luoghi più freschi fanno capolino i graziosi fiorellini del ciombolino. Pian piano passiamo sotto al campanile roccioso, che in realtà è piuttosto una propaggine avanzata della montagna che cala verso di noi con ampi ghiaioni, attraversati da una netta traccia di sentiero proveniente dai Biscurri.

Finalmente, raggiunto il passo, un panorama del tutto nuovo si pare ai nostri occhi: di fronte le dorsali desolate delle Mainarde alternano pendii erbosi a robusti costoni rocciosi, sotto di noi si aprono i Prati di Mezzo, ed oltre i paesi della Ciociaria si perdono nella foschia. Ancora sotto di noi è la Val Canneto, fittamente coperta di boschi.

Camosci al pascolo: sullo sfondo il Monte Tartaro

Dal versante laziale, la Meta offre il suo lato più facile e meno spettacolare: una ripida distesa di prato sale fino alla cresta, assai meno entusiasmante delle rocce precipiti del versante abruzzese. Giusto il tempo per bere un pò d'acqua e subito cominciamo ad affrontare la ripida salita finale, si tratta senz'altro del tratto più faticoso di tutta l'escursione: non ci sono tracce di sentiero e bisogna salire a vista, arrancando sul terreno soffice che aumenta lo sforzo ad ogni passo. Tuttavia, ben presto la semplice erba lascia il posto ad un vero e proprio tappeto di fiori che quasi si ha dispiacere a calpestare: fiordalisi, margherite, cerastio e delicati garofanini color violetto.

Il profumo dei fiori è davvero intenso e riempie di fragranza tutta l'aria circostante. La fatica continua e ogni pochi passi ci si deve fermare per riprendere fiato, approfittando per dare un'occhiata al paesaggio sconfinato che si offre alla vista: un gregge popoloso sta risalendo lentamente dai Prati di Mezzo verso le erbe più fresche della cresta. Raggiungiamo delle modeste formazioni rocciose poco sotto la vetta, evidenziata da una struttura in ferro fatiscente.

Camosci sulle balze settentrionali

A questo punto lo sguardo è distratto sulla sinistra verso i dossi erbosi sulla sommità della cresta: c'è un branco di camosci che sta pascolando tranquillamente, decidiamo di avvicinarci un pò prima di raggiungere la vetta. Dopo pochi passi le sentinelle del branco ci hanno già individuato, all'erta con il collo diritto ci osservano curiosi ma poco preoccupati, così che decidiamo di avanzare ancora.

Scattate alcune foto, pensiamo di non procedere per non metterli in allarme e provocarne la fuga, così pieghiamo verso il filo di cresta per guadagnare la vetta.

Strapiombi sotto la vetta

Ma ecco che, raggiunta la sommità della dorsale, sotto di noi scorgiamo altri esemplari sparpagliati su ardite cengie rocciose, tutt'altro che intimoriti dalla nostra presenza, ben consapevoli che il luogo dove si trovano è per noi irraggiungibile: è meraviglioso osservare l'eleganza con la quale si muovono da roccia a roccia, leggiadri e sicuri su passaggi apparentemente impossibili; ci sono anche i piccoli nati da poco, zampettano alla ricerca dei ciuffi d'erba più freschi che emergono dalle pietraie aspre. Gli animali esibiscono il tipico mantello estivo di colore bruno chiaro, dall'aspetto lanoso e sfilacciato, con la caratteristicha mascherina scura sul muso. Lasciati i camosci, proseguiamo brevemente sul filo sino alla vetta vera e propria, uno stretto castelletto di rocce proteso nel vuoto e sorretto da balzi precipiti. Peccato che il tempo stia peggiorando ed i vapori impediscono la vista su quello che deve essere un panorama stupendo.

Davanti a noi si alza il Monte Tartaro, seguito dal Petroso e dalle cime appuntite della Camosciara, che si stagliano appena fra le nuvole. Anche il Marsicano è visibile solo alla base, mentre la vetta è avvolta dai vapori.

Sotto di noi si apre l'ampio piano dei Biscurri, un conca desolata di origine palesemente glaciale; più oltre è visibile anche lo specchio irregolare del Lago della Montagna Spaccata. Dalla vetta osserviamo ancora i camosci bivaccare su vertiginose cengie che orlano le pareti del versante settentrionale, la loro sicurezza e tranquillità fa quasi invidia. Purtroppo il tempo sta peggiorando rapidamente e siamo costretti a riscendere in fretta, il pranzo è al Passo dei Monaci, al sicuro da possibili sfuriate: scorgiamo il branco di camosci che si è portato in prossimità della vetta e ci osserva dall'alto. Poi la discesa è del tutto ordinaria, ed il viaggi o di ritorno aggiunge altri spettacoli alla nostra giornata: si torna per Scanno e le Gole del Sagittario.