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Colle di Mandra Murata (1949 m) , da Rovere

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Giungiamo a Rovere nell'aria cristallina di un mattino invernale, il paese quasi deserto, silenzioso nella serenità del cielo azzurro e brillante. Intorno prati gialli di stoppie, punteggiati di macchie candide di neve residua: sembrerebbe primavera se il freddo pungente non ci rammentasse che siamo agli inizi di febbraio.

Salendo lungo il versante meridionale

Ci fermiamo dietro al campo sportivo, dove iniziano i segni giallo-rossi del sentiero CAI che conduce al Sirente; sistemiamo gli zaini attardandoci sotto il tiepido ma rassicurante sole. Il sentiero sale dietro le case, verso il bosco ancora pieno di neve, data l'esposizione a nord, attraversando un valloncello con bella veduta sulla rocca (il nome del paese deriva da "Robur Marsorum", la fortezza dei Marsi). All'ombra la neve si fa ghiaccio e già si deve procedere con un pò di cautela, districandosi fra roccette e lastroni vetrati, piuttosto insidiosi.

Scavalcando la linea del crinale ci riportiamo sul versante meridionale, in vista di Ovindoli e della Serra di Celano, qui la neve si è sciolta ed il sentiero si tramuta in una pista fangosa; alle spalle, verso il M. Rotondo, si scorge lo scempio sciagurato degli insediamenti turistici, un'immagine veramente fuori luogo.

Via con le racchette ...

La via è già in salita, ed il carico eccessivo degli zaini si fa sentire: ci innalziamo fra distese ingiallite e macchie di ginepro, seguendo la naturale conformazione del terreno, rallentati dal suolo morbido e cedevole. Più in alto, rientrando nella faggeta, che qui appare rada e frammentata, ritroviamo la neve, in quantità sufficiente a permettere l'uso delle racchette, senz'altro più comode sotto i piedi che appese sulla schiena: adesso si ragiona, il passo si fa rapido, ritmico ed efficace. Siamo in una zona caratterizzata da numerose radure e valloncelli, abbastanza intricata, il sentiero per la vetta del Sirente si getta sulla destra, inoltrandosi sul versante meridionale della montagna, mentre noi preferiamo rimanere in prossimità della linea di cresta, verso est.

Qui non è difficile perdersi e si deve fare bene attenzione alla strada che si percorre, in vista del ritorno. Usciti dalle ultime macchie di bosco, proseguiamo ad intuito scavalcando modesti crinali o percorrendo piccoli valloncelli, completamente imbiancati; il senso di solitudine ora è più accentuato, lasciata alle spalle la visione dei centri abitati, troneggia al suo posto il sipario delle cime azzurrastre del Velino: il Cafornia, il Costone, il Puzzillo, il Cagno.

Mezzogiorno invernale

E' affascinante percorrere questo deserto bianco, ovattato e silenzioso, che si distende tutto intorno a noi in una successione di morbide creste e avvallamenti sovrastato solo dal cielo di un blu intenso, ricamato da esili ed evanescenti vapori biancastri. Lentamente raggiungiamo un'elevazione rotondeggiante, non distante dal filo di cresta, dove la vista si riapre verso il Gran Sasso e la valle dell'Aterno, sotto di noi si distendono i fitti boschi che circondano il pianoro dell'Anatella ed i prati del Sirente. A vista si distingue, lungo la linea di cresta, la meta della nostra passeggiata, in verità poco marcata, così persa nella successione frastagliata di torrioni aguzzi che sorreggono il bordo nord-orientale del monte.

Dopo una bevuta e un pò di frutta, si passa all'analisi delle carte per decidere la via più diretta; nonostante la consultazione due dei nostri, spinti da ardore esplorativo, cominciano a scendere sulla sinistra verso una radura assai più bassa della cresta, da dove la risalita è possibile solo affrontando un gelido, ripidissimo canalone himalayano.

Dalla cresta: veduta sulla Majella

Accertata l'impossibilità dell'impresa, i nostri amici si decidono a raggiungerci, mentre muoviamo lungo la cresta, percorrendo in traverso uno spallone nevoso fino ad una costa rocciosa. Qui la neve è dura ed il pendio è leggermente esposto, meglio infilare per sicurezza i ramponi (un passaggio più facile si ha tenendosi più interni rispetto al filo della cresta): risaliamo con attenzione fra le roccette, fino ad uscire su una distesa che punta diritta alla Mandra Murata. Oltre questa si innalza la vetta del Sirente, alle cui spalle, spostata sulla sinistra, fa bella mostra la Majella completamente bianca. Camminiamo quasi in piano, facendo attenzione alle vistose, ingannevoli, cornici che orlano il margine del baratro, sulla sinistra;

laddove le rocce assicurano la solidità del passaggio, mi affaccio ad ammirare i precipizi rocciosi che calano sulla valle: la sensazione è di fascino e terrore al tempo stesso, osservo sgomento la linea quasi verticale dei canaloni, bordati da costoloni di rocce rotte e appuntite, mi soffermo sulla superficie intatta della neve, scalfita solo da piccoli distacchi di neve che precipitano a valle tracciando solchi sottili e traballanti. In fondo al precipizio, su un poggetto al margine del bosco, battuto dal sole, scorgo un via vai di piste che si intersecano e tracciano cerchi concentrici, forse un branco di lupi sulle tracce di una preda. Il gruppo si ricompatta in vista della meta, che è raggiunta in breve tempo; si potrebbe proseguire oltre ma il tempo non è molto e comunque il Sirente è ancora molto lontano, meglio dedicarsi ad un buon pranzo.

In vetta alla Mandra Murata

Dalla vetta, gettiamo un'occhiata soddisfatta al panorama che ci circonda tutto intorno: lo spallone della Majelletta è carico di nevi, così come il cocuzzolo del Camicia e le rocce tormentate del Prena, più in basso, solitario su un cocuzzolo spelacchiato, si erge l'avamposto di Rocca Calascio, a guardia della valle e dei pascoli sovrastanti; che dire del Corvo, possente massa di ghiacci striati da lunghe fasce di rocce scure, degno compagno dei Corni e dell'Intermesoli, che più a nord lasciano il posto alle linee più morbide della Laga e dei Sibillini.

Giù nella valle, oltre i prati del Sirente, si scorgono gli insediamenti d'altura delle Pagliare e oltre il mosaico di paesi della valle dell'Aterno. Cerchiamo un'avvallamento riparato dal vento, che soffia debole ma fastidioso, gelando il sudore sulla schiena, e ci accocoliamo sotto il timido sole invernale, poco alto sopra l'orizzonte.