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I Silenzi del Nuria

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


E’ uno dei primi giorni di maggio quando, per una sterrata che parte da Rocca di Fondi entriamo nel Piano di Piscignola, in un’ampia conca verde sopra la quale occhieggia misterioso il castello omonimo. Siamo sotto le falde nord del Nuria. La giornata è calda, la prima di questa primavera. Ci avviamo per un’altra sterrata che, staccandosi da quella principale, si dirige sulla diagonale destra guardando la fortezza, verso gli speroni nordoccidentali del massiccio. Il leggero vento di valle rinforza visibilmente sulla tozza ed imponente gobba del Nuria, zebrata da larghe e profonde scie di neve ed inventa, nel mulinare i vapori di cresta, bizzarre, evanescenti forme.

Il casale fortificato di Piscignola

Un’aria sospesa, lontana da ogni brusio improprio, pregna del verde degli alberi gemmati e delle erbe, delle brune umide terre e del bianco delle rocce e della neve, si rarefa nel calore della mattinata e ci induce quasi al silenzio, al rispetto per un ambiente che, per quanto deturpato da inutili carrabili, avvertiamo lontano dal furore della civiltà delle macchine, dei rumori assordanti, delle nevrosi perpetue. Sopravviene però, improvvisa ed inaspettata, una incredibile delusione: in completa antitesi con il titolo di questo racconto e con i nostri stati d’animo, due motocrossisti stretti nelle loro ridicole tute lacerano con somma violenza i silenzi straziando l’aria e le nostre menti emettendo devastanti rombi con le loro stramaledettissime marmitte e batuffoli di fumi puzzolenti ! Ci raggiungono, ci guardiamo, è chiara la loro difficoltà, occhiate di fuoco e soffocate imprecazioni li spingono rapidamente lontani e, salvo una breve successiva riapparizione, spariscono dalla nostra vista, dal nostro udito e, fortunatamente anche dalle nostre menti.

In breve rivibra il silenzio, più padrone di prima, più apprezzato, troppo profondo per rimanere a lungo ferito. E rapidamente svanisce anche l’acre odore della nafta. Restano una serie di interrogativi: perché e  in nome di quale esigenza si deve creare tanto sconquasso? Cosa passa per la testa di queste persone? Come si può godere di certe atmosfere nel sobbalzo violento della moto, chiusi nel rumore assordante di un casco soffocante? chi autorizza queste violazioni profonde di ambienti che pur nella loro semplicità bucolica rappresentano una risorsa enorme per uomini, animali e piante? Sappiano questi due signori che è la prima volta che assistiamo, dopo oltre 15 anni di escursioni su tutto l’Appennino e su molti sentieri delle Alpi, ad un’indecenza di questo livello e che per questa loro “originalità” ci piacerebbe premiarli !

La vallata ai piedi del Nuria: sullo sfondo il gruppo del M. Calvo

Poi, chi è responsabile amministrativamente di questo territorio comprende che tutte le sterrate che incidono in profondità un versante così isolato e solitario rappresentano un grave vulnus per l’intero comprensorio del Nuria-Nurietta? Ma ora basta, torniamo a noi. Nel proseguire lungo la valle, assistiamo, sulle spalle d’erba che costeggiano la via, ad una fioritura in quantità incredibili di orchidee sambuchine viola e gialle. Spiccano d’intenso giallo i fiori del tarassaco e le viole calcarate ancora gialle e blu.

La strada è comoda ed in breve ci porta ad una sella (dopo quasi 1,5 ore - quota 1300 mslm ca.- c’è un cartello con indicazioni varie), incrocio di sterrate delle quali ci interessa quella più evidente che continua a salire. Ora la strada entra nel bosco, il silenzio è tornato sovrano, ronzii di insetti, una poiana ignara ci sfila lunga davanti e si tuffa nella macchia, ancora viole calcarate, viole epatiche e primule maggiori (splendide) e ancora orchidee. 

Veduta sul Terminillo

L’aria è calda, sudiamo ma camminiamo veloci. Evitando ogni deviazione a sinistra continuiamo a salire e scopriamo in progressione ad oriente gli ampi bastioni del Terminillo, ravvicinatissimo, e della Laga dietro il Giano-Calvo. Si avverte ormai incombente, nel brillio delle nevi trapelante nel sole fra gli alberi, la ripida spalla dell’anticima del Nuria. In breve raggiungiamo un rifugio posto esattamente a 1500 metri di quota, un edificio ben tenuto, pulito, curato! Una rarità nell’Appennino centrale! Sul piccolo verde pianoro un mare di orchidee e genzianelle nivali turchine. Aleggia un senso di solitudine, di lontananza da ogni cosa che neanche le sterrate riescono a colmare. Una brevissima sosta, poi lasciamo la carrabile (finalmente) che sale ancora (purtroppo – non sappiamo dove arriva) e ci inoltriamo in una macchia alta dominata dappresso dai ripidi, scuri costoni del monte, lucidi nelle lingue di neve.

S’impenna il sentiero, sale sinuoso coprendo in breve duri dislivelli, il passo attento segue vecchie orme nella neve sospese su un boscoso ripidissimo pendio e spiana poi in un suggestivo, candido vallone ad anfiteatro. Il sole penetra dall’alto, allunga le ombre dei faggi su quel biancore vergine, profondo, silenzioso.Nella fatica avvertiamo il sorriso dei nostri cuori.

I contrafforti della vetta

Indossiamo le ghette, torniamo a camminare seguendo piccoli segnali biancorossi, su nevi molli, ripidissime, sprofondando oltre le ginocchia. Tratto in salita faticosissimo, da percorrere con attenzione, seguendo sempre i segnali apposti sugli alberi. Verso l’uscita ci portiamo in un piccolo compluvio che apre a sinistra, fra radici di faggio e terre fradice, su uno speroncino appena sopra il bosco, al di sotto dei glabri, arrotondati coni finali, più emisferi posti l’uno accanto all’altro, alcuni dolci, altri ripidi e ammantati da grandi chiazze di neve.

S’espande l’orizzonte ma non ci fermiamo a guardare, lo faremo dalla vetta oramai visibile. Fra pendii erbosi a volte ancora freddi, crochi multicolori e banchi di neve che tagliamo ora con minor fatica, in neanche mezz’ora siamo alla meta (3 ore ca.) e solo allora alziamo lo sguardo…

Il rifugio di M. Nuria

I riverberi del sole sulla neve hanno infastidito gli occhi ma l’aria finalmente fresca e mossa spazza rapidamente ogni disagio e conduce lo sguardo verso inusitati e profondi panorami. Qualche foschia appanna le pianure reatine (ma si sa, laggiù, l’inquinamento….) mentre da trasparenti nubi che ne percorrono gli alti fianchi svettano silenziosi il vicino, piatto Terminillo nello spettacolare zigzagare delle creste, il lontano Vettore con la visibile sella delle Ciaule fra le due cime maggiori, la lunga barriera della Laga ricamata dalle nevi persistenti nei profondi canaloni, l’impressionante gruppo del Sasso preso d’infilata dal Corvo inarcato verso l’Intermesoli e gli spettacolari Corni, i complessi sistemi della Duchessa e del Velino che esibisce la purezza del suo candido triangolo, la lunga costiera del Cava. Spunta a nord del Velino l’arco appiattito del Sirente, sullo sfondo la Maiella, a sud biancheggia il Viglio, più profondi gli  Ernici e il Parco Nazionale d’Abruzzo.

Verdi valli e grandi pianure solcate da lucenti corsi d’acqua intervallano questi grandi gruppi montuosi. Uno spettacolo non nuovo per noi ma di rinnovata bellezza per il punto dal quale lo osserviamo per la prima volta. Vaporose nebbie salgono leggere lungo i fianchi dei monti fondendosi con il biancore delle vette. Il pastoso sole del pomeriggio carica ogni colore inondandolo di calda luce.

Dalla vetta: panorama sul Velino

Ripartiamo abbastanza presto portandoci prima su una cresta ad est del Nuria dalla quale possiamo vedere il Pian di Cornino ed il Pian di Rascino con il vasto lago di primavera poi, rapidamente scendiamo al limite del bosco riprendendo il sentiero e, “scivolando” guardinghi sulle nevi, in breve ci ritroviamo al rifugio. Riprendiamo la sterrata, torniamo alla fortezza di Piscignola ad est della quale, sotto la cima del Torrecane, un breve corso d’acqua impaluda il terreno per poi scomparire rapido inghiottito dai calcari.

Rocca di Fondi sospesa sulle rocce è all’arrivo rosa di tramonto, così le nevi del roccioso Terminillo, sulla Laga brillano al sole le grandi strie di neve in risalto sui costoni opachi d’erbe e terre. Chiusi nelle vetture ci lasciamo ingoiare dalla valle che ci riporta sulla Via Sabina e mentre prendiamo un caffè al primo bar che incontriamo un grandioso arco di luce rossa incendia le creste boscose ad occidente poi rapidamente si smorza accompagnando verso il buio il mondo. Senza parlare riprendiamo la via del ritorno.