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Il Vado di Piaverano da Campo Imperatore

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A primavera tarda, quando Campo Imperatore è da tempo sgombro di neve, se si ha la fortuna di cogliere una giornata limpida e assolata, in quelle sconfinate distese di verde, nel trionfo colorato delle mille fioriture, avvolti da silenziosi tiepidi venti, immersi negli iridescenti tenui riflessi del sole accesi dalla neve ancora sfavillante sulle cime che penetrano la capsula celeste, per chi ha occhi e animo per guardare, la contemplazione della natura procura rare, palpitanti emozioni.

Il Corno Grande dal laghetto di Pietranzoni

Ci sia permesso però ricordare che ci sono altri luoghi per gustare in primavera queste "delicatezze". Fra i siti simili a Campo Imperatore, seppure mai così vasti, di cui è "dotato" l'Appennino centrale, ci piace citare i pianori dei Monti Simbruini, approcciabili già dalla Piana del Cavaliere nella quale si entra dalla barriera autostradale di Carsoli dell'A24, a neanche un'ora dalla città di Roma.

Queste montagne ancora poco conosciute se non da un turismo di zona, sono oggi un parco interregionale disteso su un'area vastissima, un acrocoro di mille valli e pianori che pur non offrendo sommità vertiginose, regala però scenari di rara bellezza per gli estesissimi boschi di faggio (forse i maggiori in Italia), per i vasti prati spesso innevati in inverno e, con rarità botaniche, fioritissimi nelle stagioni del sole e le numerose vette che nel loro orientamento verso est, progressivamente si innalzano e vanno a fronteggiare, con quella di Monte Viglio (2167msm), le mille cime dell'Abruzzo Centrale, quelle delle lontane Marche e del Molise misterioso!

Fioritura di Sassifraga

Ma torniamo a noi. Dunque, partimmo molto tardi quella mattina e quando arrivammo alla vista del Gran Sasso provenendo da Fonte Cerreto, poco dopo aver svoltato a sinistra per la deviazione che conduce agli impianti di Campo Imperatore, prossimi al laghetto Petranzoni (q.1637slm), ci fermammo per decidere cosa fare. Era ben oltre mezzogiorno ed inventarsi una passeggiata lunga e magari impegnativa non era ormai possibile.

Poca era la voglia e allora decidemmo, per mediare il ridotto tempo di luce con la scarsa disponibilità d'animo, di arrivare al Vado di Piaverano (2327slm), uno dei valichi di alta montagna che uniscono la regione teramana a quella aquilana, ben evidente davanti a noi, a due ore di marcia circa, pochi chilometri di distanza e contenuto dislivello.

Il Cimone di Santa Colomba

Ci avviammo distratti (erano oramai le 13!!) dopo aver ritrovato il vicino tracciato n°17 segnato sulla carta dei sentieri del Cai dell'Aquila, calpestando le ruvide erbe di montagna lucide di screziature smeraldine sotto l'urto del giallo solare e piegando al passo i mille fiori che tappezzavano i prati come fossero una sacra infiorata. Ma non c'era curiosità, che è mancanza rara per chi si muove per questi siti, aleggiava anzi quasi un rammarico per non aver beneficiato invece di una tranquilla mattinata al bar insieme agli amici, un pranzo caldo e magari una "pennichella" nel pomeriggio. Oramai però il "guaio" era fatto e bisognava ballare.

Presto però la sopita "passione" riprese il sopravvento cosìcchè, alla prima vera impennata del terreno, poco oltre i 2000 metri di quota, il piacere di salire ansimando facendo lavorare fisico e mente, fra le prime strisce di neve in silenziosa liquefazione, piccoli rivoli, viole tardive, sassifraghe e genzianelle e tanti altri miracoli botanici, circonfusi quasi da quella atmosfera di colorati e vasti silenzi, sotto il gioco intimorente delle immani altezze, riesplose repentina l'ansia del traguardo, del pervenire al valico per scrutare gli estesi e variegati panorami delle valli di Teramo fino al blu del mare e prendere di infilata le cime orientali del gruppo, dal Gran Sasso fino al Monte Camicia.

Monte Prena dal Vado di Piaverano

La parte finale del percorso, fra terricci umidi e friabili, isole di neve molle, su un sentiero reso incerto dalla stagione invernale, ci prese un relativo impegno e alla fine pervenimmo, senza spingere e con facilità, a svalicare mentre il sentiero proseguiva invece scendendo per grigie tracce avviandosi verso il santuario di Santa Colomba e più in basso fino alla Piana del Fiume per poi dirigersi, su strada carrozzabile, verso l'abitato di Isola del Gran Sasso.

Questa passeggiata, fatta naturalmente in salita, speriamo di raccontarvela alla fine della prossima stagione estiva. Dunque, pervenuti al vado, una fame vera ci spinse a mangiare subito, e per fare questo ci accomodammo, per ripararci, leggermente a valle del valico che era arieggiato da un fresco, fastidioso vento.

Il Corno Grande dal Vado di Piaverano

Sostammo a lungo così messi, osservando la vastità di Campo Imperatore verdeggiante all'infinito tra mille veli di leggere nebbie e spingemmo lo sguardo fino alla non vicina Majella che lunga potente e diafana emergeva dalle bianche condense della pianura e verso la perfetta piramide del Monte Velino, sommità dell'Abruzzo marsicano. Il sole, superato l'apice dell'arco, cominciava a trafiggere la grandiosa visione con raggi inclinati trasfondendo alle immagini pastose coloranze.

Prima di ripartire risalimmo al valico per un ultimo prolungato sguardo. Eravamo alla base di un lungo semicerchio con a destra una breve ed aerea ascesa che si alzava, seppure di poche decine di metri, verso le troneggianti e complicate rocce delle Torri di Casanova mentre a sinistra un maggiore tragitto risaliva, transitando sempre per spettacolari creste, sulla non proprio vicina cima del Brancastello.

Sosta con panini e panorama sulla Majella

Davanti verso nord-est, il roccioso e ancora in parte innevato, il Cimone di Santa Colomba. Al di là del Brancastello, il Gran Sasso nella forza dei suoi apici trionfanti e lo splendente ventaglio ancora ben innevato del Prena dall'altro lato chiudevano in una cornice di magnificenza e luminosità turchina un quadro di grande piacevolezza. Sostammo ancora a rubare quelle fugaci immagini immortalate dai colori intensi e caldi del pomeriggio limpidissimo. Tuttavia, coperta da una spessa coltre di nebbia, non riuscimmo a cogliere il verdeggiare della pianura di Teramo e il blu del mare Adriatico. Una piccola delusione!

Ma ogni vetta, quasi sorgendo da quelle profonde nuvole, sembrava si ergesse con maggiore potenza e infinita leggerezza perché su quel morbido biancore appariva privata delle proprie abissali radici e da ogni legame con la terra!

E il muoversi delle nebbie creava l'effetto di un movimento di tutti quei giganti che parevano librarsi in elegantissime volute di danza! Una sensazione davvero insolita! Però si stava facendo tardi!. Scendevamo mentre rosati riflessi si spandevano sulle coste dei monti e lunghe ombre invadevano lentamente la piana di Campo Imperatore. Con passo veloce riguadagnammo il piano e giungemmo alla macchina quando il primo crepuscolo stava sigillando nello scuro quel vibrante silenzio!