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Escursione al Monte Prena (2561 m)

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La strada sale a svolte, si allunga fra prati gialli, valloni e dossi erbosi, alla volta dell' altopiano di Campo Imperatore; di tanto in tanto, le acrobazie di un gheppio in caccia distraggono lo sguardo verso il cielo, poi la vista si apre: di fronte a noi, a chiudere la piana, si innalzano le moli del Camicia e del Prena, le bizzare Torri di Casanova e la verde costiera del Brancastello. Ci dirigiamo verso Fonte Vetica, costeggiando i rilievi del Monte Bolza, poi deviamo per la sterrata che costeggia il torrente asciutto della Fornaca e ci fermiamo ai piedi delle ultime pendici del Camicia, nei pressi dell'attacco del sentiero CAI n°7.

Il Monte Prena a fine autunno

L'aria è fresca, nonostante il sole già alto; ci innalziamo a piedi sul dosso sovrastante la sterrata, qui decidiamo di proseguire fuori sentiero, in quanto la traccia originale attraversa un ghiaione ripido ed abbastanza instabile. Scendiamo verso il vallone della Fornaca, fiume di pietre che si origina alle pendici rocciose del Prena.

Ci avviciniamo al luogo ove, fino a poco tempo fa, sorgeva il bivacco Lubrano: non se ne scorgono nemmeno le fondamenta, una bufera di neve lo ha distrutto lo scorso inverno; d'intorno è una quantità di massi e detriti sparsi, portati giù dalla forza della neve e dell'acqua.

Il Prena dal Vado di Ferruccio

Continuiamo a salire in direzione del vado di Ferruccio, l'ampia sella che separa il Prena dal Camicia, la via è ripida, fra prati, mughi e roccette friabili; poco lontano, un grosso gregge di pecore e capre si allarga sui prati circostanti, i cani pastori ci abbaiano minacciosi, spingendoci ad allungare il passo. Finalmente ci ricongiungiamo al sentiero, che prosegue a mezza costa, ben tracciato; di fronte, le intricate forme rocciose del Prena, irto di pinnacoli e torrioni, richiamano il paesaggio dolomitico.

Eccoci al vado, il panorama si allarga verso le coline teramane, un mosaico di campi verdi, bruni e grigi sfuma verso la linea azzurrina e impercettibile dell'Adriatico; a destra (sud-est), il sentiero si inerpica verso la vetta del Camicia, costeggiando la strapiombante parete rocciosa che domina l'abitato di Castelli, è l'ultima parte del sentiero del Centenario, che dal vado di Corno conduce a Fonte Vetica, percorso di cresta riservato ad alpinisti esperti.

Stella alpina appenninica (Leontopodium nivale)

Ci fermiamo a riposare, sui prati verdissimi (la vicinanza del mare garantisce un apporto di umidità anche in piena estate) si distendono mazzetti di stella alpina appenninica, specie rara e fortemente localizzata, reperibile quasi esclusivamente su questa porzione del Gran Sasso e in alcuni luoghi della Majella e dei Sibillini.

Riprendiamo la strada, aggiriamo un costone roccioso, poi saliamo fra massi e roccette, fra i quali occhieggiano fioriture di campanula, di tenue color violetto. Raggiungiamo un'altra conca erbosa, proprio ai piedi dell'ultimo strappo prima della cresta sommitale, i panorami si allargano verso nord, verso la Laga, la Montagna di Campli e la Montagna dei Fiori;

Panorama dalla vetta

si prosegue fra rocce e sfasciumi assai ripidi, subito la situazione si fa delicata: la traccia di sentiero si è persa, causa l'inevitabile azione del ghiaccio invernale e, nonostante i segni, risulta difficile seguire il percorso. Saliamo un pò a senso, a volte sbagliando strada e riscendendo di poco per cambiare percorso, la salita non è esposta, ma è molto ripida e sdrucciolevole, facciamo molta attenzione, aiutandoci anche con le mani, laddove la roccia solida lo permetta. Finalmente, guadagniamo la cresta, brevemente siamo alla vetta, segnata da una croce di ferro e sassi.

Sotto di noi, si allarga l'ampia distesa di Campo Imperatore, arida e assetata nell'ora della canicola, in lontananza si scorge Santo Stefano di Sessanio, con la sua torre, alto sopra la valle dell'Aterno; le colate di pietra che scendono dalla vetta sembrano fiumi d'acqua tormentata.

Scendendo dalla vetta

Verso nord si staglia imponente il gruppo dei Corni, più sfumato l'aguzzo Pizzo Cefalone; ripidi pendii erbosi, seguiti da fitte faggete di un verde scuro, scendono verso Isola del Gran Sasso e Colledara. E' passata l'una e, come spesso accade in estate, grosse nubi bianche di vapore, provenienti dal mare, si avvicinano ai rilievi: è ora di ripartire, prima che scenda la visibilità e risulti difficoltoso seguire il cammino. Con cautela riaffrontiamo la discesa fra le rocce, aiutandoci come meglio possiamo.

Giunti alla sella, siamo ormai in mezzo alle nuvole, la temperatura sta scendendo rapidamente e la visibilità è davvero limitata; fortunatamente, i segni gialli e rossi sono abbastanza ravvicinati e non danno adito a dubbi sul percorso da seguire. Man mano che proseguiamo fra le nubi, sentiamo aumentare l'umidità, un forte odore di salsedine pervade l'aria, rievocando immagini del mare poco distante.

Siamo nuovamente al Vado di Ferruccio, ora fa davvero freddo e l'atmosfera è cupa, ma sul versante di Campo Imperatore splende ancora il sole, le nubi sono trattenute dall'alta catena rocciosa e non passeranno oltre: la discesa nel vallone della Fornaca è un ritorno all'estate, al calore ed alla luce del sole. Scendiamo senza via obbligata, scegliendo i percorsi alla vista più accessibili, in breve siamo a valle; seguiamo per un pò il singolare fiume di pietra della Fornaca poi, valicando i rilievi alla nostra sinistra, ci riportiamo sulla sterrata di partenza.

NOTE:

il percorso descritto si discosta, nel tratto fra l'ex bivacco Lubrano ed il Vado di Ferruccio, dal sentiero segnato CAI che attualmente attraversa un ghiaione difficoltoso (se la traccia non è stata risistemata).