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Vallone di San Mauro, da Pereto

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Sempre da Pereto devo passare. Poi, le vie per arrivare all'inizio del vallone sono due, la rustica e la normale. La rustica, una volta l'ho fatta, inizia dentro il paese, a una curva sovrastata da un palazzo, che fosse più piccolo sarebbe meno brutto. La indica una bacheca di legno. Lo chiamano il sentiero del cinghiale: pura verità. Passa nel fosso di San Mauro. Un tratto di sentiero incassato e senza vista, dentro una vegetazione giovane e impicciona, dove pianticole intralciano il piede e arbusti raspano capelli e graffiano pelate. Finisce per sembrare più lungo. Però.

Nel bosco d'inverno

Ti porta nella gola stretta poco sopra il torrente in pensione, dove duri gendarmi di roccia hanno fatto vana resistenza: nelle ere e nei millenni l'acqua ha scavato, eroso, travolto ed è passata. Nel sentiero s'incontra la cona di San Nicolò, traccia di viandanti antichi, di passaggi ansiosi, di numi che rassicurano. Se vai da solo, nel silenzio senti l'eco del tempo che lì è passato. Il sentiero risale, la vegetazione dirada, esci nella valle, poco dopo la confluenza della via normale.

Stavolta vado per questa. La via normale supera il paese, seguendo l'indicazione "montagna" (per i malfidati), giunge al monumento all'alpino e alla fonte dirimpettaia (bevuta d'obbligo), prende la sterrata, un po' sconnessa ma percorribile, fino al bivio per Macchialunga. Qui fermo le ruote (sarebbe possibile andare oltre), vado nella sterrata a destra e inizio il percorso del vallone.

Campolungo

Il primo tratto sono macchie, cespugli, rovi, biancospini alternati a prato-terriccio. La strada, chiusa a sinistra dalla costa del monte, è accompagnata sulla destra dalla distesa prativa che la separa dalle pendici del Vallevona, dalla quale riemerge alla luce il sentiero del cinghiale. Lo spallone del Vallevona chiude il prato con le chiome dei faggi. Ricordo la tenuta invernale, quando sul fondo innevato si distribuisce la trama geometrica dei tronchi spogli.

Poi le due coste dei monti s'avvicinano, inizia Macchialunga. La prima grande valle, dominata dallo spallone dell'assolato di Macchialunga, un invito all'appettata che un giorno sarà inevitabile raccogliere, dove pascolano i cavalli e il verde ti avvolge da tutti i lati.

Campolungo in inverno

Due dignitosi rifugi verso la fine della valle hanno le pareti coperte da grandi disegni infantili: sono dentro uno di quei vecchi libri delle scuole elementari, dove la natura è grazia e la primavera dura tutto l'anno. Il prato finisce, e lì altre statue e icone confermano l'ancestrale politeismo.

Il bosco, specialmente nel primo tratto, è magico. Grandi e diritti faggi a distanza regolare scandiscono lo spazio di un sottobosco piano e pulito, la luce arriva filtrata dal fogliame: una grande cattedrale altomedievale, con le colonne e le luci delle vetrate. Saranno stati piantati dagli architetti benedettini.

Fonte dei Frati

Ricordo un'altra volta: nei primi segni della primavera la lunga distesa bianca del sottobosco spezzata dalle pozze di neve sciolta attorno ad ogni tronco, i ciuffi di bucaneve sulla sinistra del sentiero con un bianco unico.

La sterrataccia sale nel bosco, passando accanto ai resti dell'acquedotto di fonte Marmorata, altri passi e sulla sella mi affaccio sul Campolungo. La valle verde racchiusa tra le pendici del monte San Nicola, del Morbano e del Vallevona. L'occhio respira, i polmoni si adeguano, il passo prende un ritmo largo.

Nei pressi della fonte

Il Campolungo: lo abbracci con l'occhio, lo misuri e in diciassette minuti sei già in fondo. E vai. E man mano che vai il prato s'allunga. S'allunga fino a tre quarti d'ora buoni. Per questo lo chiamano così. Ma, quando lo fai affondando nella neve fino al ginocchio, lo chiami diversamente.

Lo percorro costeggiando il bosco sulla destra, nel fresco dei tratti in ombra. Potrei passare in mezzo, assorbendo sole e sentendo sotto i piedi la morbidezza del manto erboso.

Basta non disturbare le regine: nelle ore calde sono lì, distese, che muovono solo le mascelle e le orecchie; nelle altre ore sempre lì, in piedi, con la testa incollata al prato e l'occhio spalancato a scegliere i fili d'erba buoni. Le mucche, regine del Campolungo, irraggiungibili dalla mia forchetta: sono nell'Appennino svizzero.

Alla fine del prato c'è la fonte dei Frati: sti' frati, dove c'è un posto bello li trovi sempre, anche solo col nome. E mettono il loro timbro sul ristoro della tua sete, gratis. Non è difficile incontrare la volpe. La sorprendi a cinquanta, cento metri. La commare si allunga tutta sotto la punta del naso che si alza come un'antenna a captare gli odori della zona, ti scopre, ti soppesa e se ne va trotterellando.

Qui il vallone finisce e c'è da scegliere. Sulla sterrata vai alle pendici del Morbano, dove c'è, quando c'è, la maggiore concentrazione di orchidee dell'Appennino. Se avanzi e risali a destra finisci nella Vallevona, un'altra distesa verde, a primavera striata dal giallo e fucsia delle fioriture e orlata sullo sfondo dalle creste innevate degli Ernici. Di qui sali alla vera cima Vallevona, e vedi bene. Giro i tacchi verso Pereto. Tornerò tra breve nel vallone delle quattro stagioni, quando i rossi contrasteranno il verde e nei paesi ci sarà traffico con le uve.