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Monte Serrone (1974 m), dai Prati d'Angro

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


Attraversiamo la conca dei prati d’Angro in un tripudio di fioriture, dal giallo del verbasco e delle genziane maggiori al bianco degli asfodeli, mentre nell’aria i raggi radenti del sole mattutino svelano un turbinio sorprendente di pollini in sospensione.

Verso il rifugio di Iorio

Ci fermiamo nei pressi del rifugio del parco, indugiando alcuni minuti attorno alla fresca fontana dell’Aceretta: la giornata sembra già molto calda e così ci diamo subito una rinfrescata. La salita nel bosco è particolarmente afosa, seppur breve, ed è una delusione scoprire che la vecchia fonte dell’Aceretta, a metà tra i prati d’Angro ed il valico vero e proprio, è stata chiusa per convogliare le acque a valle, dove transita il bestiame.

Così ripartiamo e, dopo circa un’ora dalla partenza, raggiungiamo il valico dell’Aceretta: l’impressione è che la pista da sci che scende dalle Vitelle sia stata spianata ed allargata ulteriormente – ed in modo spropositato – così da creare una ferita lacerante nel verde della faggeta che scende su entrambi i versanti, quello di Villavallelonga e quello di Pescasseroli. Proprio mentre stiamo ammirando il nuovo scempio un terzetto di cervi sbuca fuori fulmineo dal bosco, attraversando la pista e rituffandosi sul versante dei prati d’Angro: dall’assenza delle corna deduciamo che si tratti di femmine o di maschi giovani;

Balzo dei Tre Confini

la vista degli animali è sufficiente a rafforzare la nostra opinione sull’opportunità di attrezzare piste da sci in questo angolo di parco. Dopo un breve ristoro, proseguiamo lungo la mulattiera sulla destra del valico, costeggiando i pendii del monte Ceraso ma, fatti pochi passi, la sorpresa è ben peggiore della precedente: l’impianto di risalita del Ceraso è stato ampliato, con conseguente taglio di una considerevole fascia di bosco, dal piede alla sommità del monte, proprio nel punto in cui il sentiero deviava nel bosco per dirigersi verso il colle Valcallano ed il rifugio di Iorio.

Ci troviamo completamente disorientati, sembra che sia passato un tifone: al posto dei vetusti faggi una distesa di sassi e terra rivoltata larga almeno un centinaio di metri, quasi dovesse contenere orde di milioni di sciatori; e se non bastasse, ai lati della pista sono già attrezzati gli impianti per l’innevamento artificiale, a sottolineare l’assurdità e la paradossalità dell’intero progetto. Avevamo sentito parlare delle polemiche riguardanti il taglio di migliaia di piante per far posto a nuove da piste da sci ma sinceramente era difficile immaginare uno scempio tale.

Guardando il Serrone nei pressi del rif. Iorio

E’ possibile che, con il rischio desertificazione che minaccia tutto il centro-sud e la costante diminuzione delle precipitazioni nevose, qualcuno ancora pensi di poter proporre in Appennino i modelli di sviluppo turistico incentrati sullo sci di pista ? E poi siamo a Pescasseroli, mica a Campiglio, quanta gente mai verrà a sciare quaggiù, a quasi tre ore di auto da Roma ? Di fronte ad un calo delle presenze nella stagione invernale, fenomeno ormai fisiologico, gli amministratori locali reagiscono costruendo nuove piste ed ampliando quelle esistenti, ma per chi ? Che dire poi dell’innevamento artificiale, autentica follia considerati i consumi di acqua (3000 litri per cannone all’ora) e preso atto della funesta siccità che ha tormentato la Marsica lo scorso inverno.

Da ultimo vorremmo far notare, se non bastasse, come la nuova pista abbia letteralmente spazzato via il sentiero che sale allo Iorio, con disprezzo totale per escursionisti, alpinisti e fondisti che in inverno frequentano la zona e che si vedrebbero costretti ad attraversare la pista da sci, impresa senz’altro più pericolosa della scalata di una cima himalayana.

Ai piedi del Serrone

Profondamente rattristati, ci diamo da fare, in gruppi, per ritrovare le tracce del sentiero oltre la pista: fortunatamente riusciamo a rientrare nel bosco e lasciare alle spalle quello scempio inaudito.

E usciti dal bosco, proprio di fronte alla cresta che sorregge il piccolo rifugio di Iorio, quale piacevole spettacolo: che angolo meraviglioso di montagna si apre davanti a noi, con i prati verdissimi e punteggiati di fioriture scintillanti di viola, azzurro, bianco e giallo. Risaliamo lo speroncino del Colle Valcallano, riscendendo con attenzione fra roccette al valico omonimo, ammirando sulla destra la mole rocciosa del Balzo dei Tre Confini. Ora si tratta di risalire a zig zag fino alla cresta del rifugio: il sole ora è alto, l’aria afosa, le pietre riflettono il calore come bianchi fornelli: è bene spalmarsi di crema protettiva e mettere su il cappello. Raggiunta la sella alla sinistra del Balzo, finalmente possiamo ammirare la nostra meta nella sua interezza: il Serrone si innalza di fronte a noi, oltre il vallone di Capo d’Acqua, con un ampio circo glaciale interessato da estesi ghiaioni e incorniciato da due creste rocciose sui fianchi.

Il Vallone Lacerno

Adesso dobbiamo ridiscendere leggermente, seguendo il filo di cresta che separa il vallone di Capo d’Acqua, che si incunea boscoso verso il frusinate, dai valloni Tasseto e Acquaro che scendono profondi verso i Prati d’Angro. Il percorso è piacevole, alterna tratti in cresta a brevi passaggi nel bosco; i valloni sulla destra sono molto incassati e si raccordano alla cresta con pendii molto ripidi, dal profilo “parabolico” e vertiginoso, la vegetazione in fondo è talmente fitta da lasciar dubitare dell’esito di una eventuale esplorazione.

Risaliamo un ultima elevazione vagamente rocciosa e finalmente siamo alla base dell’ultima salita, nel grembo del circo glaciale, al cospetto della vetta, sulla quale spicca evidente una grande croce in ferro. Scegliamo di affrontare la cresta di sinistra (sud) che, pur presentando qualche passaggio al limite dell’esposizione, consente una progressione più veloce rispetto al ghiaione centrale (che si può percorrere con tranquillità in discesa).

Veduta sul Balzo di Ciotto

Così ci incamminiamo sulle roccette, con attenzione, su passaggi del tutto facili e solidi, seppure a volte circondati da pendii e dirupi non proprio amichevoli. In breve siamo in cresta, accolti dal rumore dei fuochi d’artificio della festa di qualche paese della Ciociaria, che ora si stende ai nostri piedi. Superiamo i resti di un ricovero di pastori, con bella vista sull’altra cresta che scende da nord dalla vetta e ospita alcune cavità interessanti, e finalmente siamo in cima.

Se non fosse per la calura intensa e sorprendente (siamo quasi a 2000 metri, ce ne vorrà di neve artificiale questo inverno ...) lo spettacolo sarebbe davvero perfetto: sotto di noi il lago di Posta Fibreno sembra una virgola azzurra, oltre si alzano rilievi azzurrognoli che mettono alla prova la nostra conoscenza, gli Ausoni, gli Aurunci, il Monte Cairo ... Bellissimo il primo piano sul roccioso Balzo di Ciotto e sulla desolata piana che va dalla Brecciosa al Cornacchia ed al Coppo dell’Orso; proprio sotto di noi è il verdissimo e profondissimo Vallone Lacerno, cantato come una fra i valloni più spettacolari dell’Appennino.

Verso nord ci salutano il Marcolano ed il Turchio (che offre simpatiche e panoramicissime sgambate invernali del tutto gratuite, altro che sci ...) e poi, seguendo con lo sguardo verso destra, il Palombo ed il Marsicano, la Camosciara il Petroso e la Meta. Fa effetto osservare in lontananza i canaloni della Majella che ancora ospitano lunghe lingue di neve splendente al sole, mentre qui in vetta non tira un filo d’aria e l’afa è insopportabile. Completata la panoramica ci soffermiamo ad osservare la moltitudine di persone che oggi percorrono i sentieri nei dintorni o sono con noi sulla vetta, probabilmente sono molti di più e senz’altro più sensibili alla salvaguardia ed alla cura della montagna degli sciatori che verranno questo inverno a godersi le fantascientifiche piste messe a disposizione dal lungimirante comune di Pescasseroli. Da qui sopra, la pista delle Vitelle appare come uno squarcio bianco nel fianco verde della montagna, un’offesa che un angolo di montagna così suggestivo e selvaggio non avrebbe mai meritato.