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La Solagna del Lago a maggio

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


E’ la prima domenica di maggio, piove e partire sembra una fesseria. Male che va però chiudiamo in trattoria! In ogni modo ci avviamo poiché è previsto un miglioramento a nord/est e noi andiamo da quella parte. A Corvaro, dopo l’uscita autostradale ”Valle del Salto”, mentre prendiamo un caffè smette di piovere, l’aria schiarisce ma nebbia e nuvole stanziano minacciose sulla Valle Amara, lungo transito per il quale si arriva al cuore del gruppo della Duchessa ed alla meta dell'escursione.

La Valle Amara

All’imbocco della Valle, carichiamo d’acqua le borracce e ci avviamo. C’è una densa umidità, la luce pulsa fioca nell’atmosfera opalina. La valle s’insinua fra le pendici ripide del Cava e quelle verdissime, insuperabili del Morrone, affonda risalendo per un percorso reso comodo da un’infelice sterrata chiusa però al transito delle auto. Il fondo ampio è violentemente segnato, nella parte iniziale, da brecce e massi divelti dai lavori della sterrata medesima o portati a valle da torrenti stagionali ma più spesso caduti dagli scoscesi costoni. Antichi stazzi chiusi da muri a secco trovano riparo in cavità, piccoli fortini a difesa, insieme con un’immagine sacra, dall’ "amaro" e dalle "morre" di questa selvaggia valle. Siamo nel regno del cerro, del nocciolo, del maggiociondolo, del carpino, dell’acero e più in alto, dove è esclusivo, del faggio.

Una delizia in autunno quando muta in giallo il verde delle foglie, e in marrone, in nero, in rosa e nel rosso esplosivo degli aceri e si colorano i trapelanti raggi del sole e le ombre di dolci sfumature, dolci come la malinconia di quella stagione. Percorso lungo, spesso chiuso dalle fitte cime degli alberi, il verde pur senza sole è intenso, pregno d’acqua. Incontriamo il torrente stagionale che proviene dall’inghiottitoio del lago della Duchessa e risorge lungo la valle.

Il Monte Ginepro (1934 m) dai Prati di Cerasolo

Pozze di fango ostacolano a volte il passo ma saliamo rapidi. Torrenti d’acqua piovana scolano rombando sui fianchi dei monti fino ai fondovalle fangosi. Chiusi nelle mantelle sfondiamo decisi la fitta nebbia che ci si oppone ad ondate. Biforca la strada sotto il Ginepro (a destra arriva agli stazzi del Morrone), volgiamo a sinistra superando un tornante, spianiamo uscendo dalla macchia e ci avviamo verso ampie radure dalle quali, a dritta, per sentieri, entriamo nella Valle dell’Asino, sotto la costa nordest del Ginepro.

Il cielo è ancora chiuso, c’è poco da sperare a breve, ma sembra scongiurato per adesso il pericolo della pioggia. Acqua e fango zavorrano il cammino, scivoliamo sul viscido fondo di boschi incupiti da nebbie. Ci avviciniamo a macchie di neve sporche di terra, le attraversiamo dentro angusti canali, saliamo a fatica, lasciamo a destra un possente sperone frastagliato da aspre rocce livide d’acqua che si allunga, mentre entriamo in una solitaria valletta d'erbe e faggi, nella scogliera dell’Uccettu accesa sulle nevi di cresta da un roteante guizzo di sole.

Il pianoro di Campitello con la vetta occidentale del Costone (2239 m)

Migliora il tempo, s’addolcisce l’aria, soffia debole un vento che smerla le cime dei faggi. C’è un'atmosfera sospesa, nel silenzio trasparente di candidi vapori in dissolvente ascensione s’assottiglia il velo di nubi, rinforza la luce, s’aprono varchi trionfanti su un altissimo cielo cobalto, fasci di sole aspergono d’oro l’umido pulviscolo e caricano di colore i prati iridati da un mare di lucide gocce, “pennellati” da viole intruppate in folti cuscini, da genziane nivali, da margherite e da mille e mille gialli ranuncoli che lentamente schiudono i loro colori.

Lasciamo a destra il sentiero 2G (Cai l’Aquila carta Velino-Sirente) che s’avvia al Morrone, proseguiamo su tracce, intuiamo il fulmineo movimento di un misterioso animale ingoiato da arbusti e pietre (su terreno innevato abbiamo rinvenuto tracce di cervo), risaliamo un breve canale di terreno enfio d’acqua, entriamo nell’ampia valle di Campitello, oltre 1700 m. di quota: lassù, lontana ancora, la giogaia del Costone e dell’Uccettu, l’approdo, un altro grande spettacolo con la neve !  

Punta dell'Uccettu

Superiamo il rifugio del Corpo Forestale, poi dritti a risalire l’ultima fascia di faggeta. Nell’impegnare il pendio incrociamo, già notata a distanza come un'appariscente macchia, una straordinaria “aiuola” di 2/3 metri di diametro, satura di genziane, un solo colore perfettamente compatto, una tela tessuta con centinaia di fiori accalcati in uno straordinario turchese in gran risalto sulle erbe di primavera. Una cosa mai vista! E un rimpianto: siamo senza macchina fotografica! Ancora un raggio di sole accende i colori della “tela” e li smalta impastandosi con le ultime stille d’acqua. Usciamo dal bosco ed entriamo in una serie di ripidi canali esposti a nord. Nel risalirne un ultimo, pietroso ed ancora innevato, prendiamo quota fra gli ultimi crochi ritrovando l’aria tiepida e le fioriture di primavera. 

Fra ginepri abitati da candidi anemoni e su prati rasati dal pascolo arabescati da rivoli d’acqua approdiamo, dopo quattro ore pesanti, alla Selletta delle Solagne (1961 m.), il raccordo della Valle Amara e della Valle dell’Asino con la Valle Fua, con la Val di Teve per il Malopasso e con la Valle Leona che, dal lontano Campo Felice, arriva per il Passo del Puzzillo.

Il Murolungo dalla solagna

Sotto la sella, la Solagna del Lago, un largo e profondo pendio erboso esposto a sud, beneficiario dell’umidità del vicino Lago della Duchessa. Siamo in un teatro di non poca bellezza! Serrate da quell’articolato pianoro, quattro dorsali montane s’aprono a raggiera, quinte eccezionali di un proscenio d’autore. Dai nostri piedi muove a destra la cresta dell’Uccettu (il cuore della Riserva) nel cui vicino culmine (2006 m.) si salda e risale verso ovest la dorsale del Morrone la cui vetta (2141 m.) è celata dalle impervie pareti poste sopra il lago. Davanti, oltre il valico del Malopasso, s’alza ad emiciclo la montagna del Murolungo (2184 m.) e fronteggia con l’alta parete nord le coste del Morrone.

A sinistra s’inarca forte la gobba del Costone uscendo verso nord-est, culmina ai 2239 m. e prosegue, sopra la lunga e profonda costa dell’Agnello, verso il Colle dell’Orso. Al centro dei quattro sistemi di rocce sprofonda il blu del lago della Duchessa incastonato nel biancore delle pietre e delle ultime nevi e nel verde lucido dei freschi prati montani distesi su doline e valloncelli.

Lago della Duchessa visto dalla Solagna

Stretta dalle dorsali la Solagna crogiola al sole il suo ampio declivio. Soggiacciamo al fascino della scena, ci riempiamo gli occhi dello splendore del luogo mentre, come per una regia teatrale, sguscianti fari di sole illuminano a turno gli attori di quella spettacolare rappresentazione e li mettono in movimento con un giuoco di luci e d’ombre. Alle spalle del Murolungo, adagiato su enormi brecciai, il triangolo del Velino guarda silenzioso bianco di pietre e neve. La Solagna, felicemente distesa verso il lago, cosparsa di sole, esibisce la sua superba veste fiorita.

Quasi si ripete il miracolo del Tarinello: in un mare di verde, ondate gialle di ranuncoli e di viole, di genziane turchesi, d'anemoni bianchi, d'orchidee blu e porporine, di celesti nontiscordardimé e di cento altri fiori appena dischiusi, s’infrangono spumeggiando sulle pietre, le risalgono avvolgendole, le aggirano turbinando fra ginepri e cardi, si raccolgono in fresche vallecole per defluire infine, come torrenti di colore, verso il lago disperdendosi fra le ghiaie delle sue sponde. Ma torna la minaccia: dal Velino sorgono scuri nembi, si fondono con nebbie in ascensione, si compattano, si espandono.

Panorama dal Malopasso

Un ultimo sguardo poi ripartiamo subito, scendiamo veloci al lago, lo superiamo, risaliamo alla fonte Salamone, passiamo sotto il Morrone e arriviamo ansimanti e preoccupati alla “Piana”, ancora oltre 1700 m. ( sentiero 2D). Basse, nere nubi c’inseguono furenti cavalcando impetuose folate, urlano i faggi devastati nell’ululo del vento, incupisce l’aria, trema la volta, tre formiche fuggono, un orribile lampo incendia immenso un pauroso cielo di ferro quando entriamo nel bosco. Nell’orrida luce uno scroscio violento squassa foglie e rami, ci affoga, ci soffoca l’acqua e risorge all’istante in fiumi di foglie e fango che ingessano il passo. Così esposti viviamo alcuni micidiali minuti e quasi con terrore avvertiamo nell’animo il nostro nulla. Poi s’addolcisce la violenza, s’allontana la furia fra sinistri fulmini e tuoni spaventosi, si scioglie il buio, s’acquieta la paura.

Superiamo “Prime Prata”, scendiamo vigili il ripido e viscido sentiero dei “passi scomodi”, torna ad incalzare il sole e saetta luci orizzontali sui violenti rami d’acqua che, nella pianura, ora percuotono Corvaro. Si smorza lontano l’uragano e, quando arriviamo, si accende di giallo la costiera del Cava. A lungo ristoriamo anima e corpo mentre ci asciughiamo insieme ai panni gravidi d’acqua. E’ il crepuscolo quando ci avviamo verso l’autostrada, folgora l’oro sulle vette fumanti di vapori e prima che imbrunisca il cupo delle coste rinserra lo sfavillante scrigno sottraendolo alla bramosia dei nostri occhi ed al baluginio delle prime stelle rilucenti nel firmamento turchino oramai sereno.