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Anello del Monte Tarino (1961 m), da Cappadocia

[Notizie generali] [Scheda tecnica]


La strada che da Cappadocia sale a Camporotondo offre sempre un dettagliato panorama sulla triplice piramide del Velino ma quest'oggi la coltre di nubi e vapori che soffoca tutta la zona non lascia filtrare alcunché; speriamo che l'intuizione di spostarci dal Sirente, meta programmata la sera precedente, alle dorsali dei Simbruini – più prossime ad essere interessate dal nuovo fronte di alta pressione proveniente da ovest – sia stata corretta.

Cippo di confine

Come sempre, il misero spettacolo offerto dall'accozzaglia di case abbandonate e semi dirute del comprensorio di Camporotondo fa pensare a quale logica spregiudicata abbia portato allo spreco di tanto denaro, con la rovina totale di quella che probabilmente fu una splendida valletta. Meglio passare oltre, scendendo verso Cesa Cotta[1] e l'alveo del Fosso Fioio, che qui appare ancora come un sistema acquitrinoso di pozze, risorgenze e rigagnoli, alimentati dalle viscere delle montagne circostanti. Al bivio caratterizzato dalla bacheca , ormai distrutta, del parco ci fermiamo, procedendo a piedi lungo la stradina sterrata segnata da una barra metallica al suo inizio.

Lasciamo subito alle spalle le brutture per percorrere una stretta valletta dall'andamento sinuoso, ornata da profumatissime piantine di timo e colorata di vistose fioriture di ranuncolo, non-ti-scordar-di-me e fiordaliso. Dopo poco siamo ad un bivio, dove la valletta si apre, nei pressi di un interessante cippo di confine, ancora perfettamente al suo posto, su cui fanno bella mostra, sui lati opposti, il giglio Borbonico e lo stemma del Vaticano. Prendiamo a sinistra, la via di destra conduce a Campo Ceraso (la useremo per il ritorno); dopo pochi metri, una traccia fangosa sulla sinistra abbandona la sterrata e si dirige nel bosco, sbarrata da alcuni massi: si tratta dell'inizio di una vecchia pista di boscaioli che risale più direttamente verso i pianori sommitali del Tarino, il tracciato è ben evidenziato nelle carte IGM, così l'anno scorso decidemmo di ritrovarlo sul terreno, scoprendo con grande sorpresa che qualcuno aveva già pensato a segnare la via fino in cima (per la verità, in zona vi è una fitta rete di sentieri segnati, a tratti anche sovrabbondante).

Il Pozzo della Neve

Proseguiamo attraverso alcune radure, al primo bivio dobbiamo tenerci a sinistra (la stradina che piega a destra conduce al santuario della Trinità), poi ancora una piccola gola ed un altro bivio, questa volta da seguire sulla destra. Passando qui in tarda primavera, noterete sulla vostra sinistra, nei pressi di un mucchietto di rocce, una splendida fioritura di Aquilegia vulgaris che ogni anno saluta il nostro passaggio. Si prosegue per una verdissima radura, dove gli unici suoni - tuttaltro che spiacevoli - sono i molteplici versi dei minuti uccellini che popolano la faggeta e che, ahimè, mi piacerebbe saper riconoscere uno ad uno.

Più avanti incontriamo i primi segnali del sentiero, in vernice rossa, nella singolare forma di cerchio sbarrato orizzontalmente: bisogna fare attenzione a seguire la pista giusta nel bosco (leggermente a sinistra rispetto ad un invitante quanto infelice canalone che conduce, con sforzi enormi, sulla cresta nord-ovest, nei pressi della Costa d'Asino). Il sentiero sale subito ripido nel bosco, per la verità senza grandi attrattive né panorami degni di nota, ma senz'altro lascia sperare in un rapido guadagno di quota. Il clima è molto umido, a causa delle piogge di questa notte, e si soffoca un pò sotto la cappa frondosa dei faggi. La vegetazione a terra è rigogliosa e pullula di creature ronzanti che procedono indaffarate da fiore a fiore. Dopo circa mezz'ora di dura salita guadagniamo la prima apertura panoramica verso l'altopiano di Campo della Pietra e le cime di Vallevona e del Morbano, separate dal solco profondo del Fosso Fioio, addirittura si intravedono le alture dei Lucretili che si alzano oltre la Piana del Cavaliere. Saliamo ancora a svolte, passando sotto notevole tronco marcescente, bucherellato dai tarli, che quasi pare sfaldarsi da un momento all'altro. Finalmente sbuchiamo sull'altopiano sommitale, nei pressi della depressione del Pozzo della Neve, oltre la quale si alza la collinetta arrotondata del Tarinello; la cima del Tarino si erge invece proprio di fronte a noi, mostrando la possenza delle sue difese calcaree, visibilmente stratificate e contorte.

Salendo verso la vetta

Proseguiamo lungo il filo di cresta, per poter godere della vista su Campo Ceraso, il percorso è molto gradevole, in leggero saliscendi, con bella vista sulla vallata sottostante. Mentre le rocce del Tarino si avvicinano, raggiungiamo il Vado Ciociaro[2] nei pressi di un intaglio roccioso ove bolli di vernice gialla indicano la via da seguire per ridiscendere a Campo Ceraso. Proseguendo attraversiamo un branco di cavalli e puledrini che ci osservano diffidenti, poi ci innalziamo ancora a svolte, scoprendo un'appagante veduta sugli Affilani e sul misterioso e impenetrabile altopiano del Faito, in basso si scorge anche l'intaglio del vallone dell'Acqua Corore, che riporta a Fiumata e alle sorgenti dell'Aniene ( i nostri lettori più affezionati lo conoscono già ...). Man mano che il sentiero si fa sassoso e si inerpica per roccette, cominciano a spuntare i primi magnifici cespuglietti di Gentiana dinarica che ben contrastano – con il loro blu marcato – con il biancore accecante del calcare.

Più in alto, in una nicchia naturale fra le rocce, spicca una madonnina altrettanto bianca, prontamente adornata da ciuffi di Pulsatilla alpina, di colore bianco e Doronicum columnae, specie di margheritone dall'intenso colore giallo; la vista di icone, santini e madonnine - disseminati specialmente su queste montagne - rievoca una religiosità popolare antica, a volte ingenua ma efficace, e testimonia del legame ancestrale dell'uomo con queste montagne: spesso una piccola statuina di S.Antonio o della S.S.Trinità (se ne possono trovare davvero molte da queste parti), adornata magari con qualche frase arguta, poteva far compagnia al viandante e rincuorarlo di fronte alle asperità della montagna. Inebriati dalla bellezza dello spettacolo circostante e sferzati da un vento abbastanza gelido, guadagniamo velocemente la vetta, in un' esplosione di fioriture gialle, azzurre, bianche e viola.

Veduta sui Cantari e sugli Ernici

A sud le creste acuminate dei Cantari e degli Ernici si inseguono sfumando nella foschia: ecco il Viglio con l'arcigno Gendarme, il Crepacuore, l'Agnello ed il Vermicano sopra Campo Catino. Di fronte la tozza mole del Cotento, protetta da discreti salti di roccia, meriterebbe senz'altro l'apertura di qualche “direttissima” da Filettino. Sotto di noi i grandi pianori Simbruini, il grande imbuto del Simbrivio, troneggiato dai bastioni dell'Autore, e l'acrocoro boscoso del Faito. Lontano si intravede la Serralunga mentre il Velino ed il Sirente sono momentaneamente sepolti da pesanti nubi cumuliformi (per fortuna abbiamo cambiato rotta e possiamo goderci un bel sole interrotto qua e là da nuvolette sfilacciate).

Verso sud-est la cresta del Tarino prosegue a saliscendi con percorso apparentemente aereo e attira subito la nostra curiosità: poiché abbiamo tempo a sufficienza, scenderemo da lì allungando la gita, ma prima ci concediamo un pisolino fra le erbe, i sassi e i fiori, conciliato dal ronzio sommesso de “i' apone”. Dopo il riposo è l'ora dello spuntino, quindi possiamo ripartire: il sentiero cala subito per roccette con qualche saltino del tutto elementare, poi prosegue sul filo ed attacca una evidente anticima.

La vetta dalla cresta sud-est

Il percorso è davvero entusiasmante, aereo e panoramico: sulla destra ripidi pendii erbosi vengono ingoiati vertiginosamente nel fondovalle ammantato di boschi, mentre non c'è un angolo di montagna che non sia affollato di minuscoli fiori colorati, dal ginestrino all'eliantemo, con qualche sparuta comparsa del narciso. Discesa anche l'anticima sud, la prospettiva appiattisce quest'ultima contro lo sfondo della vetta principale, sino a dare l'impressione di un'unica mole “bicornuta”. Ci resta ancora un terzo cocuzzolo da affrontare, nel frattempo notiamo che, sul versante orientale, fra la vetta e la vallata si apre una depressione, apparentemente un circo glaciale, affollata di faggi e protetta sul versante di Campo Ceraso da un ulteriore bastione roccioso, tutto il sistema era difficilmente intuibile dal basso.

Alcuni passaggi su roccia sono un pò acrobatici e vagamente “esposti” ma niente di preoccupante, raggiungiamo la sommità del terzo cocuzzolo sul filo della cresta sud-est: qui un bollo rosso indica un intaglio da cui una traccia di sentiero cala nel bosco, tuttavia il sentiero di cresta prosegue ancora e decidiamo di seguirlo. In realtà poco dopo la pista si perde totalmente e raggiungere da lì il valico di Monna Forcina (passo che separa il Tarino dal Cotento e mette in comunicazione Campo Ceraso con la valle dell'Aniene) sembra possibile solo forzando il passaggio su un pendio abbastanza impervio, decidiamo allora di tornare all'intaglio segnato visto in precedenza.

Campo Ceraso

Da qui caliamo nel bosco velocemente sino a raggiungere uno spallone erboso dove incontriamo altri due escursionisti: ci spiegano che vengono da Fiumata, dunque esiste un secondo sentiero, oltre a quello dell'Acqua Corore - che sale al Tarino passando per la Monna Forcina. Scendiamo ancora, seguendo attentamente le esili tracce ed i bolli rossi nel bosco, fino al valico di Monna Forcina, dove si incrociano i sentieri provenienti dai due versanti ed un terzo che sembra risalire verso il Cotento. Noi pieghiamo a sinistra e senza via obbligata, attraverso una serie di radure, siamo in breve al volubro[3] di Campo Ceraso.

Di qui, sulla sinistra, una carrareccia (numerose indicazioni, compresa quella dell'onnipresente Sentiero Italia) percorre in discesa tutta la vallata, ripassando sotto la vetta del Tarino: di radura in radura si raggiunge, tralasciandolo, il bivio sulla destra per il bosco della Ceria (seguendolo e svalicando si può raggiungere direttamente Camporotondo ovvero raggiungere il pianoro della Renga, sopra Capistrello). Di qui in poi è tutta una tirata, per la verità un pò noiosa, sotto il bosco sino al bivio con il cippo ed al punto di partenza.

NOTE:

[1] nei dialetti centro-appenninici la "cesa" è una distesa prativa liberata dalle pietre affioranti per facilitare il pascolo.

[2] il toponimo deriva probabilmente dal fatto che il passo metteva in comunicazione la Marsica con la Ciociaria.

[3] col nome di "volubro" si intende un invaso - generalmente circolare - per la raccolta dell'acqua piovana per il bestiame.