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I Colori di Vallevona

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Avevamo programmato un’escursione “speciale” verso metà giugno, durante la settimana, quando in giro c’è poca gente, ma non avevamo un’idea chiara di dove andare, era più che altro una velleità dettata dal fatto di aver visto molto e dalla speranza di “pescare”, in un giorno di grande libertà, una novità, una cresta, una valle, un posto bello e non ancora scoperto. Indugiammo molto sulla scelta cosicché perdemmo tempo e voglia ed allora quasi per rabbia, presi ormai da una sorta di delusione, decidemmo di uscire a Carsoli per andare ancora una volta sulla Serrasecca, verso la Cima di Vallevona che abitualmente consideravamo una passeggiata di riserva.

Madonna dei Bisognosi

La cosa che non percepimmo fu che mai in prossimità dell’estate avevamo visitato quella montagna e questo poteva far diventare l’escursione interessante. E avvenne proprio così in dipendenza di questa circostanza poiché in quel periodo Vallevona vive di uno splendore botanico eccezionale. Il verde dei prati e dei boschi di cerro e di faggio in prevalenza, intervallati dalle presenze più sfumate degli aceri, l’intensità dei colori delle fioriture e la loro estensione, la presenza di rarità botaniche, il sole ed il cielo blu cupo di quel giorno fortunato rappresentano una memoria fra le più evidenti della nostra esperienza di escursionisti.

Fu un viaggio complesso. Iniziò dal Santuario di S.Maria dei Bisognosi (1047mslm) nel disincanto totale perché pensavamo di fare una fatica non indifferente, non tanto per il dislivello quanto per la lunghezza dell’escursione, sotto un sole cocente, su per coste e creste che non offrivano neanche panorami eccezionali.

Genziana utricolosa

Per questo stato d’animo ci stava sfuggendo l’eccezionale verde, rigogliosissimo, che ci accompagnava con erbe alte e cupe, grassi rovi trionfanti di rose canine rosa e rosse (la prima rarità), enormi ceppi di fragole, piante di giglio rosso pronte alla sbocciatura, enormi campanule, orchidee di varie specie. In quel momento apprezzavamo solo l’aria che si manteneva fresca e le nostre amenità. Senonchè, superata la fascia più boscosa, con i rumori dei tagliaboschi che si andavano allontanando, entrando nei primi prati ancora freschi di rugiada, fra mille fiordalisi, orchidee ed altri fiori comuni, fummo “costretti” a vedere tra le erbe intense, abbacinata dal sole, una genziana utricolosa che sfavillava il suo magnifico turchese.

Una novità assoluta per noi, impensabile, una sorpresa resa maggiore dalla estensione di questa fioritura, che diversamente da altre genziane primaverili, si trova a quote più basse, occupa interi prati e si porta, con la stessa intensità, verso altitudini maggiori. E la massiccia fioritura nulla toglie alla bellezza del fiore. Ci riprendemmo, cominciammo a guardare con maggiore attenzione e mentre alle nostre spalle “sorgevano” lontani il Teminillo e le cuspidi della Laga, del Sasso e del Velino-Duchessa ancora macchiate di neve, tirando su per un pratone piuttosto ripido, fra genziane maggiori prossime alla loro gialla fioritura, ritrovammo la cresta su una sella, all’altezza di una roccia marcata da un evidente segnale giallorosso.

Salita invernale

Proseguimmo nel bosco seguendo i segni fino a che uscimmo su una dorsalina erbosa splendente di sole, di bianchi cerasti, enormi margherite, arniche, genziane, ranuncoli ed altri colori mentre sulla nostra destra in un bosco in dolce pendio, ombrosi faggi colossali esibivano muti i loro secoli. Bruciava il sole, ma non lo sentivamo presi come eravamo da quell’inaspettato spettacolo. Lontane, oltre le dorsali dei Simbuini, dei Ruffi e dei Prenestini, sembravano risalire dal Tirreno intense foschie precedute da un caldo e debole vento che faceva ondeggiare morbidamente erbe e fiori creando nel silenzioso fruscio un policromo effetto di colori sfumati e ombre.

La dorsale della Serrasecca proseguiva davanti noi salendo per verdi e sovrapposti colli fra boschi, ampie zone prative, vallecole ombrose, il tutto chiuso dall’arco azzurro del cielo.

Verso la cresta sommitale

Dopo un breve tratto di macchia in salita pervenimmo ad una prima radura accecata da un sole riflesso da mille erbe lucenti, fra estese fioriture di asfodelo imponenti nelle loro mesta eleganza, situate a ridosso di un’altra fascia di bosco superata la

quale uscimmo su un lungo prato degradante verso destra e in fondo al quale, in un valletta, erano visibili i resti di vecchi stazzi. Davanti, una muraglia ripida di prati e boschi, il tratto più faticoso dell’escursione infiorato però da quantità enormi di cerasti e ranuncoli, al limite di altri faggi colossali.Una bella fatica da concludere dirigendosi verso destra e valicando dopo aver arrancato per una fresca depressione ai margini della macchia. 

Fioriture sulla cima

Ancora un prato, una sella verde ed il Velino biancheggiante laggiù, sulla sinistra. E ancora asfodeli e rovi. Avvertimmo il soffio umido del vento che avvicinava da ovest un'ondeggiante nuvolaglia che di tanto in tanto offuscava il sole senza però alleviare il caldo.

Poi un’altra fascia di bosco da superare fra profondi strati di foglie secche, fino ad uscire su una nuova ma ancor più ampia conca prativa inclinata ad occidente e dominata a nordest da una lunga dorsale di rocce e faggi contorti. In fondo alla conca un sistema di raccolta di acque, un volubro, un fontanile. Infine l’ultima macchia, faggi e sparsi aceri, ancora in salita lungo una ombrosa diagonale che dal versante sudovest, con direzione est, porta fino agli estesi pendii occidentali, sospesi sul profondo Fosso Fioio, (questo da percorrere in ottobre-novembre per ammirare i magnifici colori autunnali) che portano alla sommità della Serrasecca, una cresta di oltre 2 km che dalla parte opposta, poco dopo la cima di Vallevona, (1818mslm - 3,5 ore), degrada sulla omonima valle. 

In discesa: la piana del Cavaliere

Arrivammo in vetta in ordine sparso ma ognuno di noi, all’incontro, confermò la meraviglia provata nell’osservare l’incredibile varietà e quantità di fiori che ammantavano l’apice del monte, un giardino di grande bellezza colorato fitto da fiori selvaggi, un movimento di colori vorticoso ora addensato, sui versanti nord, in enormi cuscini di viole gialle e blu, arniche, nontiscordadime ed altre cento varietà adagiate su un’erba cupa, intensa, al limite del bosco che sale alto su quel lato, ora fittamente variegati nelle orchidee svettanti, negli astragali, nelle genziane utricolose, nelle ginestrine, nei fiordalisi che con colori più vivaci ricoprivano i profondi versanti della parte occidentale.

Una inaspettata sorpresa, uno splendore effimero che svanisce con le arsure dell’estate, quando dominano le stoppie aride delle alture appenniniche punteggiate da piccole tribù di cardi argentati e da qualche giallo verbasco smorto nel suo verde. Una lunga cresta, un lungo ineguagliabile miracolo della natura.  Davanti, lontani, verso sudest, gli apici dei Simbruini, dei Cantari, degli Ernici con il Parco e la Maiella sullo sfondo. Quattro chiacchiere, due panini, poi di colpo la nuvolaglia scura arrivò con veloci ondate rimontando per Fosso Fioio, ci intimorì e ci costrinse a stringere i tempi del ritorno.

La montagna in veste invernale

Scendendo rivedemmo dall’alto quei lunghi pendii d’altura splendidi anche in inverno quando la neve dolcemente s’adagia spianando soffice ogni asperità e rivestendo, aiutata dal gelo della notte, gli spogli rami dei faggi con mille cristalli di ghiaccio trasparente. Un turbinio di raggi rifratti al sole della prima mattina, un contrasto di portentosa bellezza con certi turchesi dei cieli freddi d’inverno che calano sinuosi sulle dolci forme della montagna! Bisogna essere lì dentro, “affogati” dalla neve e dalla fatica per capire, per comprendere un’emozione che non è solo ottica ma anche esaltante per lo spirito seppure ineluttabilmente venata di malinconica solitudine. 

Passò la buriana di vento e nuvolacce, si placò e chiudemmo così l’ultima parte del ritorno chiacchierando serenamente fino all’arrivo al Santuario che visitammo ancora una volta. Un gelato prima dell’autostrada poi veloci verso casa con il sole in declino piantato davanti gli occhi, negli occhi. Un sole orizzontale che semplificava ogni immagine restituendola polverizzata in un contrasto di ombre e accecanti raggi che saettavano fra le ultime nubi e attraversavano le valli sgusciando fra le coste dei monti.